L'ex calciatore Vincenzo Iaquinta, attaccante di Udinese e Juventus e campione del mondo con l'Italia nel 2006, è stato condannato a due anni nell'ambito del processo Aemilia in corso a Bologna. Si tratta del più grande procedimento penale di sempre contro presunti esponenti e favoreggiatori della 'ndrangheta in nord Italia. Per lui erano stati chiesti 6 anni di reclusione per l'accuse di possedimento di armi con l'aggravante mafiosa, la parte più grave dell'accusa relativa all'aggravante è comunque caduta. Condannato a 19 anni, invece, Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore ed imprenditore.

La sentenza: 125 condanne e 19 assoluzioni

Sono 125 le condanne emesse dai giudici bolognesi, 19 le assoluzioni e quattro le prescrizioni per i 148 imputati. Il processo ha posto in luce l'esistenza di una 'ndrina attiva da diversi anni in Emilia Romagna ed in Lombardia, nel mantovano. Il centro decisionale sarebbe stato a Reggio Emilia, definito al pari di un'emanazione diretta della cosca Grande Aracri di Cutro, comunque indipendente da quest'ultima.

Le motivazioni della condanna

Vincenzo Iaquinta era stato trovato in possesso di armi da fuoco: nel dettaglio, una pistola Kalt-tec 7,65 Browning con relativo munizionamento (126 proiettili) ed un revolver Smith&Wesson calibro 357 magnum. Tutte comunque denunciate dallo stesso ex calciatore che aveva sostenuto di custodirle a Reggiolo, nella sua abitazione.

La motivazione della condanna sarebbe scaturita dalla cessione di armi al padre: a Giuseppe Iaquinta nel 2012 era stato notificato un provvedimento della locale prefettura che gli proibiva il possesso di armi a causa delle sue frequentazioni. Secondo gli inquirenti, infatti, l'imprenditore era amico di presunti affiliati alla 'ndrangheta.

L'intera vicenda è poi diventata parte del processo Aemilia, incardinato a gennaio del 2015 a seguito di un'operazione che aveva visto scattare le manette per 160 persone in buona parte del nord Italia, ma anche in Calabria e Sicilia. L'operazione della Direzione Investigativa Antimafia mise nel mirino le infiltrazioni della criminalità organizzata in Emilia negli ambiti economico e politico.

La rabbia dell'ex juventino

Vincenzo Iaquinta però non accetta questa sentenza di primo grado. "Nella nostra famiglia non sappiamo nemmeno cosa sia la 'ndrangheta - afferma l'ex attaccante della Juventus - ed ora mi hanno rovinato la vita solo perché sono calabrese e sono di Cutro. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia ed i miei bambini, noi non abbiamo fatto niente". Nel momento della lettura della sentenza, padre e figlio hanno urlato "ridicoli, è una vergogna", rivolti ai giudici.