Un delitto rimasto irrisolto per anni trova finalmente una spiegazione, per quanto assurda. Nel maggio del 1987 c’era stata una vera e propria esecuzione nel bar “I tre moschettieri” di Torino. Roberto Rizzi, giovane impiegato, era caduto sotto i colpi di pistola mentre era al tavolo con altri amici. Gli investigatori non riuscivano a trovare un movente plausibile per questo agguato, visto che la vittima non aveva nessun precedente penale, né tantomeno legami con l’ambiente mafioso. Ora, a distanza di 31 anni, l’assassino si è deciso a parlare, raccontando che ci fu un errore: si tratta di Vincenzo Pavia, una lunga attività da rapinatore ed una serie di condanne per aver commesso otto omicidi negli anni novanta, prima di iniziare a rivelare, da pentito, l’attività della ‘ndrangheta al Nord.
La confessione dopo l’ennesimo arresto per rapina
A quanto pare Pavia, seguendo la discutibile etica dei mafiosi, non si era mai perdonato di aver sbagliato, uccidendo una persona che non era il reale obiettivo dell’agguato. Così, dopo l’ennesimo arresto per un assalto all’ufficio postale di corso Casale a Torino, nel giugno scorso ha deciso di raccontare finalmente la verità su quel delitto all’ispettore della Squadra mobile che già in passato aveva raccolto le sue confessioni.
L’omicidio gli era stato commissionato da Saverio Saffioti, un noto malvivente, a sua volta assassinato nel 1992, al mercato di piazza Campanella. L’uomo gli chiese di uccidere Francesco Di Gennaio, detto "Franco il Rosso", a quanto pare per una vendetta relativa ad uno sgarbo su una questione di donne: ma quel giorno nel bar il killer commise il clamoroso errore, ammazzando il povero Roberto Rizzi, capitato nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
I legami di Pavia con l’omicidio del procuratore Bruno Caccia
L’assassino ha continuato, aggiungendo di essersi accorto dell’errore solamente il giorno dopo quando lesse sul giornale il nome della vittima, che non c’entrava nulla col mondo del crimine ed aveva l’unica colpa di assomigliare vagamente a Di Gennaio.
Pavia in passato è stato uno testimoni più importanti nelle indagini per l’uccisione del procuratore di Torino, Bruno Caccia, avvenuta nel 1983. Il collaboratore raccontò che dietro quell’omicidio c’era la ‘ndrangheta: fece i nomi del mandante, Domenico Belfiore, e di un esecutore, Rocco Schirripa, chiamandolo con il soprannome, Rocco Barca.
Aveva indicato anche Renato Angeli, che però in quella data risultava essere detenuto, circostanza che aveva reso meno credibile l’intera confessione, in cui aveva assicurato di essersi limitato solamente a fare alcuni sopralluoghi di preparazione al delitto, insieme a Placido Barresi, senza però parteciparvi attivamente.
E, secondo la nuova testimonianza di Pavia, Barresi, noto esponete della criminalità locale, doveva essere presente anche durante l’agguato al bar, ma all’ultimo momento non vi partecipò.