E' passato poco tempo dalla ricorrenza dell'8 marzo, festa dedicata alla donna e finalizzata a rivendicare i diritti della categoria. Spesso oggetto di violenze, familiari e non, le donne rappresentano una categoria che spesso rischia di essere vittime del più becero sessismo. Stavolta, però, non c'è un femminicidio a far discutere, ma una sentenza della Cassazione che, indubbiamente, farà storcere il naso a molti: la Corte, infatti, ha ritenuto non credibile il racconto di una donna che aveva denunciato uno stupro ad Ancona. La motivazione? Sarebbe troppo brutta affinché qualcuno possa pensare di commettere uno stupro nei suoi confronti.

Seppur con parole più tenere e istituzionali è esattamente questa la sostanza di una sentenza probabilmente senza precedenti.

I fatti risalgono al 2015

Sono passati esattamente quattro anni da quando, nel marzo del 2015, una donna di origini peruviane si era presentata al Pronto Soccorso della città marchigiana denunciando di aver subito un abuso di natura sessuale. La ragazza, ventiduenne all'epoca dei fatti, si era presentata dinnanzi ai sanitari assieme alla madre. Un fatto che sarebbe avvenuto comunque qualche giorno prima quando la ragazza, bevendo una birra con degli amici, si era più volte appartata con un coetaneo, mentre l'altro faceva il palo. Il risultato dell'intimità raggiunta sarebbero stati rapporti consensuali per il presunto aggressore, vere e proprie violenze nella ricostruzione della vittima.

Tuttavia, i rilievi fatti ai medici avrebbero consentito di trovare tracce compatibili con la possibilità che davvero la ragazza abbia subito un abuso.

Verdetto annullato dalla Cassazione

La perizia dei medici ha naturalmente giocato un ruolo decisivo in quella che è stata la prima sentenza, ribaltata dalla Cassazione. Alcune incongruenze e vizi di legittimità pare siano destinati a far rifare il processo in Appello, ma per il momento ci si confronta con una sentenza che avrebbe spinto tre magistrate (donne anche loro) a farsi influenzare dall'aspetto fisico della donna.

Sull'aspetto pone la questione proprio La Repubblica, che sottolinea come i due giovani condannati in primo grado siano stati assolti per motivazioni che rischiano di destare non poche polemiche. Pare, infatti, che lo stupro sia ritenuto non credibile sulla base del fatto che uno dei ragazzi avesse salvato il numero della ragazza sotto il soprannome Vikingo, un allusione al fatto che la giovane donna potesse avere un aspetto poco femminile e assai mascolino. E fa rumore la frase che evidenzia quest'aspetto: "Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare".