La sentenza è arrivata il 18 maggio in corte d'assise ad Alessandria. Il 46enne Michele Venturelli è stato condannato all'ergastolo per aver ucciso il 24 gennaio 2020 la 41enne Ambra Pregnolato. Tra l'imputato e la vittima c'era stata una relazione extraconiugale. La donna fu uccisa quando decise di troncare la storia.

Caso Ambra Pregnolato, il verdetto

La corte d'assise del tribunale di Alessandria ha inflitto il massimo della pena a Michele Venturelli accogliendo la richiesta del carcere a vita per l'imputato fatta dal pm Alessio Rinaldi. Si è concluso così il processo di primo grado per omicidio volontario a carico dell'orafo disoccupato che la mattina del 24 gennaio 2020 uccise Ambra Pregnolato, maestra, sposata, madre di una bambina.

Con lui, la vittima aveva avuto una relazione per circa un anno.

L'avvocato Lucio Parodi, legale di parte civile della famiglia ha commentato: "Leggeremo le motivazioni di questa sentenza che non restituisce ai familiari Ambra, è un dolore incalcolabile. Certamente la pronuncia dell'ergastolo attesta la gravità di questo fatto tragico".

Il black out dell'imputato sull'omicidio

Lo scorso 23 marzo, Incalzato dalle domande dell'accusa, nel corso di un'udienza decisiva, l'imputato aveva raccontato la sua versione dei fatti. Aveva riferito della relazione con Ambra e dei progetti con lei che pensava si potessero concretizzare. Si erano conosciuti in vacanza nell'estate 2015, era diventato un amico di famiglia, al punto da frequentare assiduamente la casa coniugale per vedere le partite di calcio.

Poi, tra lui e Ambra, era nata una storia clandestina, portata avanti, secondo l'imputato, fino a quando avrebbero progettato di stare definitivamente insieme. Idee che erano evidentemente solo nella sua mente il giorno del delitto, quando Venturelli aveva raggiunto Ambra a casa. Lei l'aveva trattato con distacco, manifestando l'intenzione di chiudere la relazione extraconiugale.

“Mi aveva detto che voleva provare a recuperare il matrimonio e che non se la sentiva di mollare tutto e andare a vivere da sola”.

Dell'omicidio non ricorderebbe nulla. Il 23 marzo, il racconto di Venturelli ai giudici sull'esecuzione dell'omicidio si era interrotto. Ci sarebbe un black out nella sua mente dal momento in cui aveva estratto un martello dallo zaino che avrebbe portato sempre con sé per riparare il cambio della bicicletta.

Di fatto, con violenza inaudita aveva colpito in testa la donna 40 volte, come accertò il medico legale durante l'autopsia. "Non mi ricordo più niente, non ricordo di averla colpita. Quando sono tornato in me ho visto quella scena, ero accanto a lei. C'era sangue. Non riuscivo a capire se quella fosse la realtà", disse in aula. Dopo aver commesso il delitto, avrebbe cercato di ripulirsi e di cambiare i propri vestiti con quelli del marito della vittima, senza riuscirci. Lasciò l'abitazione della donna per tornare nella casa dove viveva con il padre e la sorella, si fece una doccia, si cambiò, uscì per disfarsi del martello e dei vestiti sporchi di sangue. "Vorrei essere io al posto di Ambra", riferì l'imputato alla corte.

Per il professionista incaricato di effettuare la perizia psichiatrica, Venturelli, era pienamente capace di intendere e di volere e compì il delitto per la rabbia dovuta alla frustrazione dell'abbandono.

Fuga e tentato suicidio dopo il delitto

A trovare il corpo di Ambra Pregnolato nell'abitazione coniugale di via Carlo Alberto Dalla Chiesa a Valenza, comune in provincia di Alessandria, fu proprio il marito Fabio Tadde a ritorno dal lavoro. Sotto shock, l'uomo chiese aiuto prima ai vicini di casa, poi al 118. Emerse subito che si era trattata di una morte violenta: di lì a poco, l'arrivo di Carabinieri e Scientifica. Gli investigatori iniziarono a sentire parenti, amici e conoscenti della vittima.

Tra loro, Michele Venturelli che, secondo quanto raccontato a processo da Graziella Trevisan, la mamma di Ambra, dopo che aveva ucciso sua figlia la mattina e preso un paio di scarpe non sue mentre scappava dal condominio, era tornato sulla scena del crimine quando c’erano tutti, carabinieri e familiari. "Si è avvicinato a me e mi ha detto: sono venuto verso le 9 di stamattina, ho suonato ma non mi ha aperto. E adesso chi penserà al cane?”, aveva detto Trevisan.

ll giorno successivo al delitto, gli inquirenti non avevano trovato Venturelli a casa. Era stato poi trovato dalla Polfer nelle prime ore del pomeriggio di sabato, ferito, sui binari della ferrovia. Sentendosi braccato dai militari, aveva tentato di suicidarsi gettandosi sotto un treno.

Soccorso, e trasportato in ospedale, era stato ricoverato in prognosi riservata, non in pericolo di vita, poi la confessione. "Vado tutti i giorni al cimitero. Vado a trovare la mia bambina. Perché lei c’è ancora per me, la vedo", ha detto ai giudici Germano Pregnolato, padre della vittima.