La procura di Torino ha deciso di riaprire un caso di cronaca nera risalente al 2012. Si tratta dell'omicidio di Giovanni Marco Chisari, 28enne disoccupato e con alle spalle piccoli precedenti per droga, ritrovato senza vita nelle campagne di Villaretto di Borgaro, alle porte del capoluogo piemontese, il 15 marzo di 11 anni fa.
Il ragazzo, prima di morire ed essere dato alle fiamme, sarebbe stato seviziato. Ora, le indagini si stanno concentrando su due fratelli che avrebbero agito per vendicarsi di un furto subito in casa dal suocero di uno di loro.
Riaperte le indagini sull'omicidio di Giovanni Marco Chisari
Nella primavera 2012, dopo il ritrovamento del corpo senza vita di Giovanni Marco Chisari, le indagini non avevano portato a nulla gli inquirenti furono costretti a chiudere, almeno formalmente, il caso. Quello che sembrava destinato a rimanere un "cold case", però, è stato recentemente aperto grazie a una lettera anonima ritenuta attendibile.
I relativi accertamenti, da quanto si è appreso, hanno portato all'iscrizione nel registro degli indagati di due fratelli: I. M. e A. M.
Il primo, vigile del fuoco 40 enne, è stato ascoltato ,nella giornata di ieri, mercoledì 23 febbraio, dal procuratore aggiunto Dionigi Tibone, alla presenza del suo legale, l'avvocato Antonio Mencobello.
L'uomo deve rispondere delle accuse di omicidio volontario e distruzione di cadavere. Il fratello che verrà sentito solo nei prossimi giorni, invece, è indagato solo per il reato di distruzione di cadavere.
Giovanni Marco Chisari seviziato e ucciso nel 2012 per un furto
Giovanni Marco Chisari sarebbe stato ucciso per punizione e vendetta.
Il giovane, nel 2012, avrebbe commesso un furto nella villa torinese del suocero di I.M., forse legato alla criminalità organizzata. Stando a quanto ricostruito finora, i due fratelli, avrebbero chiesto un incontro chiarificatore in un parco di Torino. Qui l'avrebbero picchiato e seviziato. Utilizzando con ogni probabilità un'asse di legno, infatti, avrebbero conficcato un chiodo in fronte a Marco.
Poi gli avrebbero legato le mani con il fil di ferro e, ancora vivo, lo avrebbero chiuso in un sacco di nylon e, dopo avergli dato fuoco, lo avrebbero gettato in un fossato in località Santa Cristina.
La ricostruzione, ovviamente, è in fase di accertamento, come del resto tutto il contenuto della missiva.
L'avvocato Mencobello, parlando con i cronisti locali ha sottolineato che, dal loro punto di vista, si tratta di indagini esplorative e, almeno in questo momento, non ci sarebbero elementi giudicati pregnanti. "Il mio cliente - ha aggiunto - si dice totalmente estraneo alla vicenda".