La morte di Saman Abbas, 18enne di Novellara (Reggio Emilia), forse, poteva essere evitata. Stando alla testimonianza, in aula, dell'allora comandante dell'Arma Pasqualino Lufrano, infatti, i carabinieri si sarebbero mossi per cercare di allontanare la ragazza dalla casa dei genitori.

Tuttavia, nonostante il decreto di perquisizione già disponibile, non si riuscì ad intervenire in tempo, in quanto i servizi sociali non erano ancora pronti. Nella giornata di ieri, venerdì 17 marzo, è ripreso il processo, in Corte d'Assise, del caso di cronaca nera.

In aula, però, non erano presenti la madre e il padre di Saman: Nazia è ancora latitante, mentre Shabbar Abbas è attualmente detenuto in Pakistan.

Gli ultimi giorni di vita di Saman Abbas

Saman Abbas è scomparsa nel nulla la notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021. Il suo corpo è stato rinvenuto solo a novembre 2022, sepolto nei pressi di un casolare abbandonato. La 18enne, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, sarebbe stata uccisa da alcuni familiari dopo aver rifiutato un matrimonio combinato con un cugino in Pakistan, suo paese d'origine. Per la sua morte sono stati indagati i genitori, due cugini e uno zio.

Gli ultimi giorni di vita di Saman sono stati ricostruiti nel corso della terza udienza del processo dal luogotenente Pasqualino Lufrano, comandante, nella primavera del 2021,della stazione dei carabinieri di Novellara.

Come ricordato in aula, la giovane, si era ribellata alle imposizioni dei genitori ed era pronta a denunciarli. Per questo motivo era stata ospite di una comunità protetta nel bolognese, tuttavia quella sistemazione non le piaceva. "Mi sentivo come rinchiusa - aveva raccontato - non potevo praticare sport e neppure lavorare".

Cosi, dopo aver convinto il padre a prenderle un appuntamento in questura, per il passaporto, era rientrata, momentaneamente, in famiglia.

Saman Abbas forse poteva essere salvata

Sempre stando a quanto ricostruito, l'11 aprile, i carabinieri della stazione di Novellara presero i primi contatti telefonici con Saman Abbas. Una decina di giorni più tardi, il 22 aprile, il comandante Lufrano si recò personalmente dagli Abbas.

"Mi aprì la mamma - ha ricordato - e le chiesi di poter parlare con sua figlia, ma lei mi rispose che Saman non c'era".

Lufrano, però, dopo essere entrato nell'abitazione, chiamò la ragazza e riuscì a parlare con lei. La giovane lo rassicurò asserendo che andava tutto benissimo. Poi, davanti ai genitori, il comandante le domandò se voleva seguirlo in caserma. Saman acconsentì e, una volta in caserma, i militari le proposero: "Se riuscissimo a recuperare i tuoi documenti, accetteresti una nuova sistemazione?". La 18enne si disse d'accordo e il giorno seguente venne avviata la rogatoria necessaria per ottenere un decreto di perquisizione.

Il 28 aprile il decreto era già a disposizione dei carabinieri, ma ancora non era stato individuata una nuova collocazione per Saman.

Per questo motivo i servizi sociali territoriali, organizzarono per il 3 maggio un colloquio con diversi assistenti sociali. Due giorni più tardi, il 5 maggio, ritornarono dagli Abbas, ma per la ragazza ormai non c'era già più nulla da fare.

Come parte civile nel processo è stata ammessa l'associazione "Differenza Donna" e, a margine dell'udienza, l'avvocato Teresa Manente ha commentato: "Forse, se si fosse agito in maniera tempestiva, Saman sarebbe ancora viva".