Sono otto giorni che quattro operai dello stabilimento Eurallumina di Portovesme, nel Sulcis-Iglesiente (in Sardegna), presidiano il silo numero 3 a 40 metri di altezza per protestare contro il rischio di chiusura della fabbrica.

La possibile fermata dell’impianto comporterebbe conseguenze rilevanti sotto il profilo occupazionale, economico e ambientale e si inserisce in un quadro politico complesso, al centro del dibattito pubblico nazionale.

Le ricadute delle sanzioni contro la Russia

La crisi dell’Eurallumina è legata al fatto che la multinazionale proprietaria dello stabilimento, UC Rusal, è stata sottoposta al controllo del Comitato di sicurezza finanziaria e al congelamento dei beni da parte del MEF in Italia, nell’ambito delle sanzioni europee legate alla Russia.

Tra gli azionisti della società figurano realtà riconducibili alla Russia.

Già l’8 settembre scorso i manager di Rusal avevano comunicato che non avrebbero più garantito l’anticipazione dei fondi necessari all’ordinaria amministrazione dello stabilimento italiano. A inizio novembre hanno poi informato i sindacati di avere disponibilità finanziarie solo fino al 31 dicembre 2025.

A rischio numerosi posti di lavoro

La zona del Sulcis-Iglesiente, uno dei principali poli dell’alluminio in Italia, registra da tempo un significativo calo demografico legato anche alla limitata disponibilità di opportunità lavorative. In questo contesto, il territorio potrebbe subire un ulteriore impatto: oltre all’Eurallumina, anche altre realtà industriali, come la Portovesme Srl del gruppo anglo-svizzero Glencore e l’ex Alcoa oggi gestita dalla società svizzera Sider Alloys, risultano esposte al rischio di chiusura.

I dipendenti dell’Eurallumina sono attualmente 230, di cui 38 operativi, mentre gli altri si trovano in cassa integrazione straordinaria dal gennaio 2024. Tutti risultano a rischio licenziamento se non verranno rivisti o sospesi i provvedimenti del Comitato di sicurezza finanziaria nei confronti di Rusal, che nel maggio 2023 ha disposto il congelamento dei beni della multinazionale.

Le possibili ricadute economiche riguardano l’intera area: l’indotto collegato all’Eurallumina coinvolge migliaia di famiglie nei comuni del Sulcis-Iglesiente.

Rischio di disastro ambientale

Oltre alla sopravvivenza dello stabilimento e delle famiglie che da esso dipendono, è stato segnalato anche un rilevante rischio ambientale.

Gli operai denunciano che le bonifiche attualmente in corso potrebbero essere interrotte in caso di chiusura dell’impianto.

UC Rusal aveva previsto uno stanziamento di 300 milioni di euro per il rilancio della fabbrica italiana, una parte dei quali destinata alle bonifiche del sito di stoccaggio dei residui di lavorazione e dell’impianto di trattamento delle acque reflue industriali, tuttora operativo.

La chiusura dell’Eurallumina comporterebbe quindi l’interruzione di tali interventi, con potenziali danni ambientali significativi in un’area industriale con criticità ambientali storiche, oggetto di bonifiche.

Le richieste dei lavoratori

I lavoratori dell’Eurallumina chiedono un intervento immediato del governo per garantire i fondi necessari all’ordinaria amministrazione dello stabilimento, misura che permetterebbe di evitare una chiusura temporanea.

Sollecitano inoltre una revisione delle sanzioni patrimoniali applicate a UC Rusal, ritenute alla base dell’attuale situazione di blocco.

I rappresentanti dei lavoratori evidenziano anche come, in altri Paesi europei che hanno aderito al regime sanzionatorio, le società collegate alla multinazionale siano state comunque tutelate, così come i posti di lavoro da esse garantiti.