Non c'è da meravigliarsi se il Cinema italiano ha compiuto passi da gigante, soprattutto per la caratteristica che lo ha sempre innalzato come portavoce di quella qualità registica che ha fatto scuola tra le generazioni di cineasti, anche quando il budget impone quei limiti formali che vengono avvalorati dai contenuti stessi proposti. Matteo Garrone il mestiere lo conosce bene, se consideriamo quella svolta cruciale offerta con quel Gomorra che è diventato il monito ufficiale della cruda realtà spogliata dai manierismi di costume su quell'Italia del Sud che parla ancora con la voce della malavita a basso costo, quella un po' vigliacca, ritagliata tra le incertezze che si riversano su chi non conosce altro modo di vivere.

Quel "male di vivere" che esorcizza Roberto Saviano, nei vizi di un paese che si perde tra chi cerca la felicità superficiale di un'alternativa offerta dal consumismo e dai falsi miti che può elargire, proprio come quel Reality che ha portato al regista il Grand Prix di Cannes, ancora prima di quella Grande Bellezza che ha consacrato Paolo Sorrentino tra gli stessi volti di chi fotografa lo splendore con gli occhi del cinismo, fregandosene di un risultato che può far male, ma che stupisce proprio per la stessa ragione.

Un cast internazionale per Tale of Tales

Oggi Matteo Garrone parla di un cinema di alta classe, ricercando lo stile tra quel filone favolistico che ha portato i recenti rifacimenti dei classici di Perrault o degli stessi fratelli Grimm, offrendo una visione accurata di Lo cunto de li cunti, distillando tre delle 50 fiabe narrate da Giambattista Basile, in quell'opera scritta attraverso la luce del Boccaccio, nei fasti popolari di una tradizione napoletana che si sposa felicemente con il volere di una favola adulta narrata ai più piccoli.

La regina, La pulce e Le due vecchie sono gli episodi che il regista ci propone, avvalorati dalle interpretazioni rispettive di Salma Hayek, Toby Jones e Vincent Cassel, quest'ultimo reduce dal rifacimento in grande stile de La Bella e la Bestia diretto da Christophe Gans. La splendida fotografia di Peter Suschitzky avvolge lo spettatore, come la partitura musicale scritta da Alexandre Desplat, nelle scenografie barocche di Alessia Anfuso e Dimitri Capuani.

Tutto per un prestigio italiano che merita quel valore ereditato dai maestri di un cinema che punta sempre più in alto, e anche questa volta le previsioni dei migliori riconoscimenti al Festival di Cannes sono dalla nostra parte.