Si chiama Halima Aden la modella diciannovenne destinata a far parlare più di chiunque altro sul significato della bellezza e della cultura in occasione dell'attesa Fashion Week milanese. Musulmana osservante che indossa l'hijab, il “controverso” copricapo indossato da tutte le donne della sua terra d'origine, Halima è giunta ad un momento di svolta, un momento senz'altro decisivo per la sua carriera da modella. Sfila per Alberta Ferretti, orgogliosa del fatto che questa giovanissima donna voglia in questo modo rappresentare l'essenza più autentica di sé, nonostante le tante critiche che non mancheranno.
“Scegliere lei per la mia passerella è stato del tutto naturale: il mondo non deve avere più barriere culturali e mentali”, afferma la stilista in tutta la sua spontaneità che da sempre la contraddistingue. Forte del fatto che in periodi come questo è necessario comprendere che la diversità è un valore, non uno spauracchio da combattere, la moda ha il compito -come tutte le arti- di mettere in luce la bellezza che quasi mai coincide con un “prodotto” standardizzato e massivamente condiviso.
È la prima volta che l'Europa ha l'occasione di accogliere e farsi portavoce di un concetto di integrazione così forte. Halima è nata in un campo profughi del Kenia ed è vissuta negli USA da quando aveva sei anni, ha alle spalle una storia di vita che dovrebbe far riflettere il mondo intero sul significato dell'esistenza, su come possa cambiare e su quanto sia importante che questo cambiamento conservi in qualche modo delle radici, pur con una proiezione di lungo raggio verso il futuro.
È questo il contenuto che la Aden con la sua immagine vuole condividere, trasmettendo un messaggio di grande eco a chi avrà la capacità di andare oltre la novità, per far largo ad un significato costruttivo rispetto alla sua interessante presenza.
La stilista Alberta Ferretti punta sulla sensibilità delle donne: “Sono molto orgogliosa che Halima sia una delle protagoniste della mia sfilata, per me rappresenta una delle tante personalità femminili del nostro presente, dove vorrei che ci fosse sempre più spazio per la convivenza delle diversità”.