Palazzo Albergati, nel cuore di Bologna, è sede della kermesse dedicata alla fantasia tradotta nelle correnti culturali definite come dadaismo e surrealismo, fenomeni divampati nella prima parte del ‘900 al termine della Grande Guerra. Le due correnti si dispongono in bella mostra e si fanno vanto del genio che, in abbinamento a spruzzate di pura follia, hanno decorato le idee di una vera e propria rivoluzione culturale divisa in due atti e che hanno coinvolto anche personaggi del calibro di Breton, Apollinaire ed Eluard.

Grandi firme

Nel campo della pittura Marcel Duchamp, Renè Magritte e Salvador Dalì guidano la danza tra realtà e fantasia in un salone, quello novecentesco, di raffinata eleganza in cui i surrealisti si piazzano come euforici anticonformisti alla perenne ricerca di regole da stravolgere in modo incoerente e senza limiti.

Nel palazzo bolognese sono esposte 200 opere profondamente diverse tra loro provenienti dall’Israel Museum di Gerusalemme contraddistinte da contorni folli, talvolta nichilistici ed installazioni sregolate capaci di rapire la mente e trasportarla nelle geniali diramazioni della pazzia al servizio dell’Arte. I grandi nomi sono accompagnati da artisti di indiscusso talento come Man Ray, Tanguy, Ernst e Picabia che fungono da imprevedibile coro al genio dei solisti.

Epilogo affidato al Castello dei Pirenei

Come ogni mostra che si rispetti, anche quella di Palazzo Albergati lascia il pezzo pregiato per l’ultimo respiro del percorso, un finale in grande stile in cui non esiste nient’altro che la presenza del quadro, di quel quadro e quella dell’osservatore rapito dalla sua bellezza.

Il volume dell’audio-guida sembra abbassarsi sempre di più, le parole si fanno lontane e quasi incomprensibili fino al silenzio, un silenzio ovattato fatto di magia in cui l’unica voce che si sente è quella dell’arte, un linguaggio dorato e magico e talvolta incomprensibile, ma comunque musica del genio.

Renè Magritte

Il Castello dei Pirenei (1959) sovrasta un paesaggio in cui non esiste altro segno del passaggio dell’uomo eppure, la sospensione della roccia su cui poggia il castello stesso, porta ad azzerare le certezze a favore degli interrogativi che Magritte pone in essere.

La forza di questa opera è che ognuno può darne una propria interpretazione con il mare mosso le cui onde sembrano scandire il tempo al cospetto dell’immobilismo del resto della composizione. L’osservatore guarda ossequioso ed ammirato l’olio su tela del pittore belga quasi come un cavaliere, al cospetto della propria regina, inchina la testa ammirato e riverente.