Dovendo analizzare il livello medio di cultura in Italia potremmo definire la quotidianità, con la quale ogni giorno siamo costretti a confrontarci, con un termine forte ma emblematico: “mediocre”.

Secondo lo Human development report, infatti, l’analfabetismo funzionale nel nostro paese colpisce quasi la metà della popolazione (47%). Questo parametro si riferisce alla capacità che ogni singolo individuo dovrebbe sviluppare di comprendere ed interpretare la realtà che lo circonda in modo critico e non credendo, invece, ciecamente alle notizie ed alle direttive imposte dalla nostra società.

Una distinzione fondamentale, che si pone alla base di questa riflessione, è quella di “alfabetismo strutturale” ed “analfabetismo funzionale”: se il secondo, dunque, manca di quella capacità di analizzare in modo critico le informazioni che gli vengono recepite, quello “classico” comprende il saper riconoscere le parole, saperle leggere e scrivere.

La strada verso l’alfabetizzazione è cominciata nel 1859 con l’inserimento di due anni scolastici obbligatori. Successivamente, nel 1877 e nel 1904, con la “legge Coppino” ed “Orlando”, gli anni d’obbligo previsti sono stati ampliati prima a tre e poi a cinque. Nel 1923 ed infine nel 1963 la scuola ha assunto un ruolo fondamentale per la formazione della popolazione: prima con l’aggiunta di altri nove anni (arrivando a 14) e poi rendendo la scuola media “unica”.

Come ben abbiamo potuto constatare, già solo raggiungere questo livello d’istruzione, per la nostra nazione, è stato un percorso impervio e pieno di insidie. Fortunatamente, però, dalle ultime stime risultiamo essere un paese omogeneo in quanto indice d’alfabetizzazione, toccando il 99,2%.

Come nasce l’analfabetismo funzionale e quali sono i luoghi del “contagio”

Sebbene, dunque, il numero di “alfabeti” raggiunga quasi la quota ed il livello percentuale massimo, il problema emerso dagli studi dei grammatici sussiste, rendendone preoccupante la sua trattazione.

Tullio De Marco, noto linguista, si è a lungo soffermato su questo nuovo fenomeno “di massa”.

Egli ha infatti dichiarato il suo stupore nel dover constatare che, anche se il livello di persone che sanno leggere e scrivere è molto elevato, la percentuale di individui capaci di adottare un’impostazione critica in quest’analisi raggiunge solo il 20% a dispetto della totalità.

Infatti, non serve saper effettuare solo analiticamente queste due pratiche ma servirebbe un approccio elaborato per potersi muovere in modo stabile, e non influenzabile, all’interno del vasto mondo deviante al quale la società ci sottopone. Anche Umberto Eco, famoso scrittore e bibliofilo italiano, si è espresso in modo assai duro nei confronti di coloro che hanno ottenuto il diritto di esprimersi “in pubblico”, a sproposito, sui social network.

Il luogo infatti, nel quale questi analfabeti funzionali hanno diritto d’espressione è proprio il mondo del web. Se dunque prima, questi casi erano circoscritti e potevano essere definiti “chiacchiere da bar”, ora, con l’avvento di Facebook e della sempre libera espressione, quelle assurdità strutturali che rimanevano nell’ombra sono poste sotto gli occhi di tutti coloro che, senza un’autonomia di pensiero, ne vengono influenzati.

In ultima analisi, (come già citato in precedenza), il 47% degli italiani è colpito da questa “patologia” degradante: la non-capacità di elaborare delle proprie idee, l’impossibilità di discriminare il falso dal vero e la profonda difficoltà di divincolarsi da queste influenze assolutamente negative fan sì che tutti coloro che ne vengono colpiti siano definiti, per citare il critico Mentana: “webeti”.