L'ISTAT ha comunicato i dati provvisori relativi all'inflazione del mese di aprile. Il tasso di inflazione nel nostro Paese rimane in campo negativo: - 0,4% rispetto ad aprile dello scorso anno. La tendenza al ribasso èdovuta ai prezzi degli energetici (luce e gas) che sono calati del 4,7%, mentre al netto di questi l'inflazione rimaneal+0,3%.

Sempre su base annuale, sono negativil'indice delcarrello della spesa (beni alimentari e per la cura della persona e della casa, -0,2%) e quello dei beni ad alta frequenza di acquisto (-0,9%). Aumentano, i prezzi deiservizi, +0,4%.

I dati italiani sono in linea con quelli dell'U.E., nella quale l'Eurostat ha certificato per aprile un calo dello 0,2% su base annua, con gli energetici a-8,6%. Anche se a prima vista il calo dei prezzi al consumo sembra un dato favorevole per i cittadinicon reddito fisso,il dato continua ad allarmare glieconomisti e le istituzioni.

Perché il calo dei prezzi è una cattiva notizia?

Il prezzo di un bene è determinatodall'incontro della domanda e dell'offerta: una dinamica discendente dei prezzi può derivare o dall'aumentodell'offerta o dalla diminuzione della domanda.Attualmente siamo in questa seconda ipotesi: la deflazione segnala una debolezza della domanda, dovuta alla diminuzione della capacità di spesa cioèalla contrazione dei redditi.

Quando il prezzo di un bene scende,il commerciante prima, poi il grossista ed infine il produttore guadagnano meno. Le imprese coinvolte, schiacciate dal lato delle entrate, riequilibranoi contiabbassandole uscite:calo della produzione, azzeramento degli investimenti e infine diminuzione dei salari.

Ciò comportaun ulteriore calodeiredditi disponibili e quindidella capacità di spesa e della domanda, che determinaun successivo ciclo deflattivo in un vortice che si autoalimenta.

Alla finele passività iniziano a superare gli attivi e l'impresa va in crisi: non potendo più onorare i debiti contratti, fallisce, con conseguentelicenziamento dei lavoratori e aumento della disoccupazione (lefasi deflazionistiche sono sempre caratterizzate da alti tassi di disoccupazione), che da una parte determina un ancora più marcato calo della domanda e dall'altra diminuisce la capacità contrattuale dei lavoratori e quindi la loro possibilità di preservare il reddito: ulterioredeflazione salariale e successiva ulterioredeflazione dei prezzi, e così via.

È chiaro che il gioco non potrà continuarea lungo perché porta progressivamentealla distruzione di una enorme quantità di ricchezza.

Come se ne esce?

Storicamente ci sono due possibilità. La prima è un'azione anticiclica, che immette redditi in una fase in cui questi decrescono al fine di far ripartire la domanda di beni e servizi. Questa azione deve esser pubblica perché abbiamo visto che il privato, sottoposto alle leggi del libero mercato, non può aumentare i redditi né assumere in fase deflattiva. Parliamo quindi di spesa pubblica per creare lavoro, aumentando i redditi e quindi la domanda interna. Questa possibilità oggi, però, non sipuò essere messa in campo, a causa della regola europea del rapporto deficit/pil del 3%,che impedisceall'Italiadi fare ulteriore spesa pubblica.

Un'altra soluzioneè quella di rilanciare prima, invece delmercato interno, le esportazioni, mediante una svalutazione competitiva della moneta: i beni prodotti in Italia diventerebbero più convenienti all'estero e quindi ci sarà maggior domanda, a cui consegue unaumento dei profitti delle imprese che riprendono ad investire, ad assumere ed aumentare la quota salari, con successiva ripartenza del mercato interno.

Ma anche questa strategia è impossibile oggi, poiché siamo nell'Euro, non abbiamo più sovranità monetaria e soprattutto non possiamo svalutare nei confronti dei nostri maggiori partner commerciali, che sono i Paesi europei. Quindi per l'Italia, all'interno dell'U.E., non ci sono soluzioni per uscire dalla spirale recessiva deflazionistica.