Ieri, il premier Giuseppe Conte aveva preannunciato "un'ulteriore contrazione del Pil". E oggi, inevitabilmente, è arrivata la certificazione Istat: in base agli ultimi dati, l'economia italiana, ha registrato nell'ultimo trimestre una contrazione pari allo 0,2% e per questo il Paese si trova in "recessione tecnica".

Recessione tecnica

Nel corso del quarto trimestre del 2018 il Pil italiano è sceso dello 0,2% rispetto al trimestre precedente ed è salito dello 0,1% su base annua. Si tratta - come spiegato dal principale istituto di statistica italiano - del secondo trimestre consecutivo di calo (già nel periodo luglio - settembre, infatti si era segnato un -0,1%).

Luigi Di Maio, ministro del Lavoro, ha subito commentato in conferenza stampa che "chi stava al governo prima ci ha mentito", poi ha rassicurato tutti spiegando che presto s'invertirà la rotta.

Ma cosa significa essere in recessione tecnica? Gli esperti, parlano di recessione tecnica quando il Pil (Prodotto interno lordo) di un Paese fa segnare, per due trimestri consecutivi, una variazione congiunturale negativa. Dunque, considerando che i livelli dell'attività produttiva sono inferiori rispetto a quelli che si sarebbero potuti raggiungere utilizzando in maniera efficiente e completa tutti i fattori produttivi disponibili, l'Italia è in difficoltà economiche.

Va precisato però, che questo indicatore, da solo, non fornisce risposte esaustive sulla durata, sulla gravità e tantomeno sulle implicazioni del rallentamento economico.

Al fine di certificare se si è di fronte ad una recessione conclamata e, dunque non transitoria (come ha precisato lo stesso premier) è necessario prendere in considerazione non solo il Pil, ma anche l'andamento di tutta una serie di indicatori (che spaziano dall'occupazione, alla produzione industriale, passando per reddito di imprese e famiglie, consumi e andamento demografico della popolazione).

Conseguenze della recessione tecnica

E' noto a tutti: la crescita e la recessione, nel bene e nel male, hanno inevitabilmente un impatto sulla politica economica di uno Stato e, conseguentemente, sui suoi cittadini.

Il crollo del Pil - nonostante la manovra economica approvata a fine anno prevedesse una crescita pari all'1,0% - significa che il nostro Paese diventa, inevitabilmente, più vulnerabile.

Considerando che il mercato del lavoro è "lo specchio dell'economia", in seguito ad una recessione tecnica possiamo aspettarci una contrazione del tasso di crescita della produzione, un aumento della disoccupazione e un crollo dei tassi di interesse (dovuto alle politiche monetarie espansive adottate solitamente dalle Banche centrali al fine di favorire la ripresa economica).

Nel corso del 2019, il Pil dovrebbe crescere al massimo dello 0,5 per cento, ma non sarà facile: due dei tre previsori che vanno a costituire il cosiddetto panel di riferimento dell'Ufficio parlamentare di bilancio hanno già evidenziato che gli ultimi dati Istat dimostrano che l'economia italiana, di fatto, ha smesso di crescere e si troverà, nell'immediato futuro, a fare i conti con un'eredità pesante.

Come sottolineato dal Sole 24 Ore e da Stefania Tomasini, responsabile analisi economiche di Prometeia, anche se tutti i prossimi trimestri saranno in crescita, sarà quasi impossibile arrivare al +0,5% (ipotizzato solamente un mese fa).

L'elemento che più preoccuperebbe è l'andamento della domanda interna in quanto l'Italia sta vivendo peggio di altri Paesi il contesto internazionale. "Il clima di incertezza - ha concluso Tomasini - ha causato una caduta degli investimenti che proseguirà ed un ristagno dei consumi".