Per la serie BlastingTalks intervistiamo Sara D'Angelo, presidente e fondatrice dell’Associazione Vita da cani. Vitadacani è una ODV vegana e antispecista, che opera, senza scopo di lucro, per la liberazione animale. Si batte contro l’abbandono, il randagismo, l’allevamento, la vivisezione, l’importazione, l’esportazione, il traffico di animali e ogni forma di sfruttamento e maltrattamento degli stessi. Dal 2012 promuove la Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia, il network che riunisce e coordina i rifugi per animali salvati dall’industria della carne.
Dal 2013 organizza il Miveg, festival vegan antispecista di Milano.
Blasting Talks è una serie d'interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali. Leggi le altre interviste della serie sul canale BlastingTalks Italia.
Può raccontare innanzitutto com’è nata l’idea della vostra associazione e cosa vi spinge a operare nella quotidianità in favore dei diritti degli animali?
L’avventura di Vita da cani nasce nel 1992. Eravamo un gruppo di compagni di classe all’ultimo anno di liceo classico: Sara, Francesca e Monique.
In quegli anni, precisamente nel 1991, usciva la legge che per la prima volta vietava in Italia, in Europa e nel mondo, l’eutanasia dei cani in un canile. Fino a quel momento i cani accalappiati sul territorio che non venivano reclamati dai legittimi proprietari (oppure che non venivano adottati dopo un breve periodo di tempo) venivano soppressi.
In Italia la legge 281/91 rivoluziona questo paradigma e necessariamente promuove la realizzazione di strutture per animali.
Tutto questo cosa ha significato per voi?
Abbiamo deciso inizialmente di realizzare una struttura che ospitasse cani. Il progetto tra l’altro non doveva essere un canile. Negli anni ‘90 erano dei posti orribili, lontani dagli occhi, così che fossero lontani dal cuore e dove i cani stavano ammassati nelle gabbie.
Volevamo rivoluzionare il concetto realizzando un parco - canile, cioè una struttura all’interno della realtà territoriale che invitasse alla frequentazione. E che fosse anche un contenitore di tantissimi progetti aggregativi, culturali, sociali. Con eventi che andassero anche in favore della collettività.
Con quali aspirazioni e con quali valori?
Il paradigma di fondo era semplice: i cani ricchi pagano per i cani poveri. Abbiamo quindi previsto una serie di servizi a pagamento rivolti ai cani di proprietà che ci aiutavano a sostenere i cani senza proprietario. Quindi questa struttura diventa il nostro primo grande progetto, realizzando un sogno in forma definitiva nel 2005. Tutto ciò dopo una lunga genesi perché il parco canile di Arese nasce come un appalto pubblico e diventa presto una struttura modello.
Subito dopo realizziamo il parco canile di Maniago, rilevando una struttura vecchia dove disponiamo di 40mila metri di verde. E quindi all’interno realizziamo anche il primo santuario Porcikomodi. Progressivamente negli anni ampliamo la nostra attenzione a tutti gli animali e alla filosofia antispecista. Non necessariamente tutti i soci devono essere così, ma quello che trovano in noi è un’attenzione a 360 gradi verso tutti gli animali e noi che ci adoperiamo per la liberazione animali.
A livello pratico, in che modo agite e quali progetti state portando avanti?
Abbiamo progetti stabili rivolti ad alcune categorie di animali che normalmente non vengono sostenuti. Ad esempio, il Progetto cerbero, per cani che hanno morsicato in modo importante altre persone.
Quindi si tratta di gestire, riabilitare e riallocare, se è il caso, i cani potenzialmente pericolosi. Noi li accogliamo nella struttura di Magnago, dove cerchiamo di dare loro una seconda chance. Un altro progetto è rivolto a cani disabili, che seguiamo nella struttura di Arese. Ci occupiamo di loro, li riaccogliamo, facciamo formazione ai proprietari per aiutarli a continuare a tenere i loro animali che per vecchiaia o per incidente sono diventati in qualche modo disabili. Facciamo anche recovery di sollievo a cani che possono rimanere in casa.Cerchiamo anche di fare cultura perché la disabilità esiste anche negli animali.
E per quanto riguarda gli altri progetti indicati nel vostro sito?
Un altro progetto non rivolto ai cani è Porcikomodi, con il quale ci occupiamo di portare in salvo animali sottratti all’industria della carne.
Abbiamo dato vita a una rete di santuari in tutta Italia che coordiniamo. Da un lato sottraiamo gli animali allo sfruttamento. Arrivano da noi soprattutto attraverso sequestri dei Comuni, quando hanno concentramenti di animali non ben gestiti sul territorio. Noi interveniamo portando in salvo concretamente gli individui, dall’altro mostrando e spiegando che una differente relazione con questi animali è non solo possibile, ma anche necessaria. L’altro progetto è DL4, attraverso il quale ci occupiamo di portare in salvo i Beagle da laboratorio, ma anche altri animali da laboratorio. Insieme alla Collina dei Conigli Onlus siamo l’ente che si occupa di ritirare gli animali dal laboratorio.
Con quali implicazioni?
Far riflettere sulla possibilità di cambiare la realtà della situazione e la condizione degli animali nella nostra società. Mettere in luce che negli allevamenti e nei laboratori di vivisezione gli animali sono completamente soggiogati da una politica di dominio, attuata in modo organizzato e completamente spersonalizzato. Li rendiamo oggetti e merci, senza considerare che sono esseri senzienti.
Parliamo delle recenti notizie di cronaca e della vicenda legata al caso dei mufloni dell’Isola del Giglio: può spiegare ai lettori qual è la situazione a oggi?
È un caso rappresentativo di ciò che facciamo normalmente durante il corso dell’anno. Ogni volta che ci sono degli ordini di abbattimento o di eradicazione degli animali lanciamo campagne che da un lato coinvolgono le istituzioni e dall’altro coinvolgono la stampa e l’opinione pubblica.
Nel caso dei mufloni dell’Isola del Giglio si è concretizzata una evidente ingiustizia. In aggiunta, se rimanessimo inermi di fronte a questo scempio, la stessa pratica passerebbe a tutte le altre isole dell’arcipelago.
Da cosa deriva il problema?
C’è una direttiva europea che ha lanciato in qualche modo una vera e propria guerra a tutti gli animali e la flora non autoctona. Proponendo delle politiche di eradicazione che possono anche essere svolte con metodi non cruenti (sterilizzazione e confinamento). Ma il più delle volte chi fa progetti e accede ai finanziamenti europei sceglie la via breve. Questo significa l’uccisione di tutti questi animali, che loro considerano alieni e invasivi. Su questo però c’è un bìas, perché evidentemente è una follia, in un mondo globalizzato, pensare di voler recuperare una purezza impossibile.
Come si declina questo fatto nel caso dei mufloni del Giglio?
Per essere considerata invasiva una specie dev’essere pericolosa in modo importante per l’ecosistema e anche per le coltivazioni. Che il muflone sul Giglio sia considerato invasivo non è mai stato dimostrato. Quindi noi contestiamo le premesse del progetto. Vogliamo che i mufloni restino lì: piuttosto li confinino in un’area dell’Isola. Come secondo passo, chiediamo almeno che non li uccidano.
E qual è la situazione a oggi?
Siamo riusciti a bloccare gli abbattimenti, ma non in modo definitivo. Semplicemente il parco ha dichiarato che non abbatterà adesso gli animali, quindi dobbiamo vigilare. Stiamo chiedendo che applichino una modifica al progetto e dichiarino di voler gestire gli alieni sul posto.
Solo nel caso in cui siano troppo numerosi dovranno procedere a traslocarli. Abbiamo proposto di ritirare tutti gli animali nel caso in cui si ostinassero a volerli togliere dall’Isola e in questi giorni l’Ente parco ci ha mandato una PEC nella quale ci chiede in quali posti eventualmente vorremmo spostarli.
Cosa risponderete?
Risponderemo che non vogliamo spostarli, ma se ciò non potrà accadere forniremo una documentazione dei posti dove portarli e ospitarli. L’altra novità è che è stata avvistata una cucciola di muflone che vagava da sola. Un ulteriore motivo per segnalare che gli abbattimenti e i traslochi sono pericolosi se non vengono portati avanti con cognizione. Perché un muflone così piccolo da solo non supera l’inverno.
Quindi abbiamo segnalato che è assolutamente fondamentale andare a recuperarlo, prestargli cure mediche e in futuro non dividere i familiari.
Tornando al contesto generale, quali sono le principali difficoltà e le sfide che vi trovate ad affrontare nella quotidianità?
Le sfide principali riguardano le risorse umane ed economiche per portare a termine il nostro lavoro quotidiano. Che non si esaurisce nell’accudire i nostri circa 500 animali. L’aiuto che chiediamo non è solo per gli ospiti che abbiamo, ma per quelli che vogliamo portare in salvo. Già solo movimentare questi animali costa molti soldi e quindi spesso dobbiamo lanciare campagne di raccolta fondi che ci permettano davvero di fare la differenza.
Non si può sempre pensare che a muoversi siano gli altri. Ognuno di noi può essere e rappresentare il cambiamento. Ed è fondamentale che ognuno faccia la propria parte. Questa è la vera sfida: pensare che noi spesso possiamo fare la differenza tra la vita e la morte, tra la salvezza e la crudeltà o la prigionia.
Cosa possono fare le persone concretamente per aiutarvi?
Seguire le nostre pagine e iscriversi alla newsletter. Attraverso questi strumenti di tanto in tanto facciamo delle richieste. Ad esempio chiediamo di aderire alle campagne, di dare un aiuto concreto (cioè tramite attività di volontariato) o costante. Oppure d'intervenire rispetto ad alcune iniziative particolari e poi un supporto economico. Ci sono varie modalità, come partecipare agli eventi o sottoscrivere delle adozioni a distanza. C’è la possibilità di aderire alle campagne particolari. Ad esempio, adesso abbiamo “Operazione caldo e inverno”, cioè la campagna attraverso la quale scaldiamo i cani del canile: ogni persona sceglie il cane che vuole scaldare e quindi dona la propria quota.
Durante i mesi del lockdown ha parlato di un mondo che funziona al contrario, evidenziando l’abbandono subito da associazioni come la vostra. È cambiato qualcosa a oggi?
Sicuramente per chi si occupa solo di Pet qualche aiuto c’è. Per chi si occupa come noi di animali che consideriamo distrattamente come cibo, di aiuto non ce n’è proprio perché sono animali che vengono commercializzati. Paradossalmente gli enti che si occupano di animali destinati allo sfruttamento non hanno nemmeno gli aiuti destinati al comparto allevamento. Noi per essere riconosciuti come santuari seguiamo la stessa normativa di un allevamento produttivo.
Nonostante tutto, si riscontra l’impegno concreto di tante persone verso queste tematiche. La società riuscirà davvero a cambiare ed evolversi aprendosi a una maggiore sensibilità verso la tutela degli animali e dell’ambiente?
Secondo me sì perché ormai è diventato un problema legato anche alla nostra stessa sopravvivenza. Sensibilizziamo le persone sulla temperatura del termosifone e non vogliamo spiegare che grandissima parte dell’inquinamento e di consumo delle risorse è dovuta all’allevamento intensivo. Ormai siamo davvero al punto di non ritorno, quindi qualcosa migliorerà necessariamente perché non si può andare avanti così. Dall’altro canto, negli ultimi anni abbiamo già visto cambiamenti enormi. Perché la sensibilità è completamente differente. Le persone cominciano a riconoscere il lato positivo dell’empatia e dello stare insieme agli animali.
Dal suo particolare punto di osservazione e rispetto alle attività che portate avanti, in che modo guarda al futuro?
Con grande speranza: ovvio che si tratta di un esercizio continuo. Noi attiviste e attivisti cerchiamo ogni giorno di essere propositivi per incidere sulla realtà, cercando di restare lucidi e di concretizzare obiettivi immediati. Ci occupiamo sia di cambiare la mentalità delle persone, sia di portare in salvo gli individui. E questo ultimo aspetto ci dà grandissima speranza, in particolare durante le visite. Abbiamo comitive dalle scuole e visitatore casuali che arrivano da noi e quando si trovano nel nostro contesto possono sentire la storia di ogni singolo animale che va incontro loro e semplicemente gli annusa la mano. Allora succede una cosa magica. È il potere straordinario dell’empatia, che in un secondo abbatte tutte le barriere.