La Cina ha ormai superato in modo netto e misurabile gli Stati Uniti nella sfida decisiva per il futuro: la transizione energetica. Con investimenti colossali, un'industria integrata e una strategia statale lungimirante, Pechino è riuscita a trasformare le rinnovabili in un pilastro economico e geopolitico, mentre Washington resta impantanata in contraddizioni interne e lobby del petrolio. Ma soprattutto gli Stati continuano a perdere tempo, visto che Donald Trump ha esplicitamente chiesto di puntare sul carbone e disinvestire dalle energie rinnovabili.

Un sorpasso che parte dai numeri

Nel 2024 la Cina ha installato 373 gigawatt di nuove capacità rinnovabili, raggiungendo un totale di 1.878 gigawatt di energia pulita.

Solo nel fotovoltaico ha superato i 1.000 gigawatt, con un aumento del 45% in un solo anno. Gli Stati Uniti, invece, si sono fermati a 268 gigawatt totali tra solare ed eolico nello stesso periodo. A livello di mix energetico, la Cina ha già portato le fonti non fossili a coprire il 44% della sua produzione elettrica, mentre gli USA restano fermi al 24%.

Questi dati emergono chiaramente anche dal reportage approfondito pubblicato dal New York Times, che racconta come Pechino stia trasformando il proprio sistema energetico a una velocità impressionante.

Il giornale sottolinea come la Cina non stia semplicemente aggiungendo pannelli e turbine, ma stia costruendo una rete integrata e tecnologicamente avanzata, pronta a diventare la colonna vertebrale della sua economia futura.

La strategia cinese: pianificazione e industria integrata

A partire dal 2015, la Cina ha adottato un approccio opposto a quello americano: una politica energetica centralizzata, sostenuta da sussidi pubblici e una pianificazione industriale dettagliata. Pechino ha investito circa 940 miliardi di dollari solo nel 2024 in tecnologie a basso contenuto di carbonio. Oggi controlla oltre il 60% della capacità produttiva mondiale di pannelli solari e domina anche nel mercato delle turbine eoliche.

Questo non è solo un piano economico. La Cina ha trasformato le rinnovabili in un potente strumento di "soft power". Attraverso la Belt and Road Initiative, Pechino esporta tecnologia verde, costruisce centrali chiavi in mano e finanzia progetti in decine di Paesi in via di sviluppo. Così facendo, crea un legame economico e strategico che consolida la sua influenza globale senza bisogno di basi militari o interventi diretti.

Gli Stati Uniti e il tempo perduto

Mentre la Cina costruiva mega-fabbriche e reti di distribuzione ad alta tensione, gli Stati Uniti rallentavano. Dopo una prima fase di leadership tecnologica negli anni ’90 e 2000, segnata dalla spinta di Silicon Valley, la politica federale americana è entrata in una lunga fase di incertezza.

Il peso delle lobby fossili, tagli agli incentivi e conflitti tra Stato e governo federale hanno frenato la transizione.

L’Inflation Reduction Act del 2022 ha rappresentato un tentativo di inversione di tendenza, ma è arrivato tardi e con molti compromessi. Oggi Washington prova a recuperare terreno puntando su incentivi fiscali e sviluppo delle filiere interne, ma la distanza accumulata è difficile da colmare.

Una sfida che riguarda anche l'Europa

Il sorpasso cinese non è solo un problema per gli Stati Uniti. Anche l'Europa, inclusa l'Italia, rischia di diventare un semplice acquirente di tecnologia cinese. Senza una politica industriale solida, la possibilità di sviluppare una vera autonomia strategica nel campo energetico sarà sempre più ridotta.

La Cina ha dimostrato che la transizione non è solo una questione di emissioni o di sostenibilità, ma una leva geopolitica fondamentale. Oggi la partita globale si gioca sulle catene di fornitura, sulle infrastrutture e sul controllo delle tecnologie chiave. Pechino, come raccontato dal New York Times, ha capito tutto questo prima degli altri, e ora raccoglie i frutti.