La corsa globale all’idrogeno accelera, ma l’Italia rischia di restare indietro. È l’allarme lanciato dalle imprese del settore durante l’incontro del 26 novembre alla Camera dei deputati, organizzato dall’Associazione italiana idrogeno. Un appuntamento che ha riunito aziende, istituzioni ed esperti per discutere dello stato reale della filiera nazionale, a un anno dalla pubblicazione della strategia italiana. Il messaggio emerso è netto: senza strumenti normativi chiari e un coordinamento tra i ministeri coinvolti, la competitività dell’idrogeno “Made in Italy” è in forte pericolo.
L'allarme dell'Associazione italiana idrogeno
Mentre i progetti internazionali superano quota 3.100 e l’Europa guida la transizione con oltre il 40% delle iniziative mondiali, l’Italia procede con lentezza. Le imprese denunciano che, nonostante risorse PNRR in scadenza e un contesto europeo favorevole, il Paese soffre ancora di ostacoli strutturali che bloccano lo sviluppo di un mercato interno dell’idrogeno. Il principale freno resta il costo dell’energia: se in Italia si attesta intorno ai 110 euro/MWh, in Paesi concorrenti come Germania, Francia o Spagna oscilla tra 50 e 55 euro/MWh. Una differenza enorme che rende il nostro idrogeno inevitabilmente più caro, con un prezzo al chilo che supera i 13 euro, contro i 5-6 del gasolio o i 2-3 del gas naturale.
Con questi numeri, il mercato nazionale non risulta appetibile né per la produzione né per gli investimenti. Il 2025 ha rappresentato un anno cruciale per la chiusura dei progetti PNRR dedicati all’idrogeno, ma proprio ora emerge la necessità di definire un piano per il post-PNRR. Secondo H2IT, l’idrogeno non può inserirsi in un mercato già esistente: ha bisogno di una filiera completa, coerente e guidata da norme certe. Le criticità più urgenti sono il blocco del decreto Tariffe, necessario per attivare i contratti per differenza e sostenere la produzione di idrogeno rinnovabile, e il mancato recepimento della direttiva europea Red III, che introduce quote obbligatorie di utilizzo nei settori industriali e nei trasporti.
Due provvedimenti decisivi per creare domanda interna e avviare una vera transizione. Le aziende chiedono quindi un tavolo interministeriale capace di coordinare Ambiente, Imprese, Trasporti e Governo, sbloccando strumenti normativi e investimenti. Sottolineano inoltre che nei cassetti del ministero dell’Ambiente sono ancora fermi fondi destinati allo sviluppo dell’idrogeno, insieme a due strumenti cardine della strategia nazionale. Non va meglio sul fronte dei Trasporti, dove i 600 milioni destinati alla mobilità a idrogeno, non hanno ancora prodotto interventi concreti. Il rischio, è quindi perdere un’occasione storica proprio mentre l’Europa spinge verso la decarbonizzazione di industria e mobilità.
Dal governo arriva attenzione ma poche certezze
Dal governo arrivano segnali di attenzione, ma poche certezze operative. Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti definisce l’idrogeno un tema “strategico ma ancora proiettato nel futuro”, sottolineando che i costi dell’energia rendono oggi difficile competere. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Fratin ribadisce l’importanza dell’idrogeno nel mix energetico nazionale, ma ammette che i costi devono essere drasticamente ridotti, mentre il ministro Urso sostiene che l’Italia sia pronta a guidare la sfida, senza però dettagliare il percorso. Superata la fase sperimentale, la domanda sta iniziando a formarsi: questo è il passaggio decisivo per far diventare l’idrogeno una leva concreta di decarbonizzazione.
Ma per compiere quest’ultimo passo servono strumenti chiari, continui e immediati, dal recepimento della direttiva Red III all’approvazione del decreto Tariffe. Il quadro che emerge è quello di un settore che vuole correre, ma che oggi si trova con il freno tirato. Le imprese sono pronte, le tecnologie esistono e le competenze non mancano: è il sistema politico e normativo che deve adeguare il passo. Perché la rivoluzione dell’idrogeno, in Europa, è già iniziata. E l’Italia non può permettersi di restare in seconda fila.