"Se avessi saputo che la situazione qui era così…sarei rimasta in Siria sotto le bombe...". Nei campi profughi dislocati lungo le varie isole greche, questo è un pensiero sempre più comune. La testimonianza di una rifugiata siriana dislocata nel campo di accoglienza dell’isola di Chios, in Grecia, è solo una delle tante riportate da amnesty international nel suo ultimo dossier, "A blue print for dispair".

L'accordo UE-Turchia

Scopo del dossier è quello di analizzare l’impatto sui diritti umani, in seguito all’entrata in vigore, nel marzo scorso, dell’accordo tra Unione Europea e Turchia.

Il numero di persone arrivate irregolarmente in Grecia, partendo dal Paese turco, nei primi dieci mesi del 2015 ha superato il mezzo milione. La necessità di bloccare un flusso migratorio considerato insostenibile da molte nazioni europee è la base dell’accordo tra UE e Turchia: la finalità ufficiale è quella di interrompere le rotte irregolari lungo il Mediterraneo, arginare l’ingresso dei migranti irregolari in Europa rispedendoli indietro, e identificare le persone che hanno diritto di chiedere asilo.

Il documento è costituito anche da altre clausole minori, ma il punto centrale è quello sopra accennato: cercare di arrestare il flusso di migranti verso l’Europa. Le modalità con cui questo obiettivo è stato perseguito nel primo anno, sono state analizzate in modo esauriente da Amnesty International.

Vita da rifugiato

Mancanza di adeguata assistenza medica, nessun accesso all’assistenza legale o alle informazioni riguardo al proprio status, mancanza di acqua calda o riscaldamento, pessima igiene, scarsa nutrizione e violenze: queste sono solo alcune delle deficienze riportate da Amnesty International nei campi profughi in Grecia.

Quando una persona giunge in Europa, può fare richiesta per essere riconosciuta come rifugiato: ed è proprio quello che hanno fatto coloro che, partendo da diversi paesi e passando per la Turchia, sono arrivati in Grecia. Secondo l’accordo in corso, chiunque venga registrato come "migrante irregolare", dunque privo dello status di rifugiato, può essere rimpatriato.

E qui sorgono altri problemi: rientri forzati nei paesi d’origine, detenzione arbitraria, rifiuto d’accesso alla rappresentanza legale o all'assistenza medica: queste sono solo alcune delle violazioni subite dai richiedenti asilo o dai Rifugiati in Turchia e documentate da Amnesty.

Le morti nel Mediterraneo nel 2016 sono state le più alte degli ultimi anni; i centri profughi non sono nemmeno lontanamente efficienti, e non riescono a garantire la sicurezza e la legittimità delle procedure. Inoltre nei paesi membri dell’Unione Europea, l’opinione pubblica e la classe dirigente sono sempre più insofferenti dinanzi a questa situazione. Come se non bastasse, il 28 febbraio, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è dichiarata "incompetente" in materia, in quanto "non è stata l’Unione, ma i suoi Stati membri, in quanto soggetti di diritto internazionale, che hanno condotto i negoziati con la Turchia".

Amnesty parla chiaro e chiede un urgente miglioramento delle condizioni dei rifugiati in Grecia, e il rispetto delle procedure per i richiedenti asilo, ma non solo. Viene lanciato un appello agli Stati europei, affinché innalzino il livello di cooperazione e di collaborazione con la Grecia e tra loro, per assicurare il rispetto dei diritti umani.

Le richieste avanzate da Amnesty International sono doverose e giuste ma, per ora, l’unica cosa sicura è che i paesi dell’Unione, rimanendo indifferenti verso questa drammatica situazione, stanno contribuendo ad una delle più gravi violazioni dei diritti umani che si siano viste in Europa negli ultimi anni.