Un articolo di Chiara Brusini pubblicato questa mattina su Il fatto Quotidiano, mette in evidenza un ritardo di gestione dei Fondi Europei per lo sviluppo del Sud, risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per recuperare edifici atti a scuole pubbliche e scongiurare il fenomeno dell'esodo di centinaia di migliaia di precari del sud. Il premier Renzi, che proprio nei giorni scorsi aveva polemizzato con Roberto Saviano circa i presunti 'piagnistei del sud', sembra in realtà essersi accorto di questa dimenticanza avocando a sé la maggior parte delle competenze per accelerare sul piano di spesa.

Se attuato prima, questo piano avrebbe potuto costituire un modo per evitare l'emigrazione forzata dei docenti del sud.

Progetti retrospettivi

Il Fatto Quotidiano scrive che ballano almeno 25 miliardi di dotazione provenienti dal Fondo Europeo dello sviluppo regionale (Calabria e Sicilia in testa). Quest'ingente dotazione di risorse liquide potrebbe svanire se non si interviene tempestivamente. Anche se a Bruxelles probabilmente diranno no, Renzi sembra intenzionato ad usare un trucco per riuscire ad usarne entro fine anno almeno 9. Questo grazie ad un rendiconto apposito in cui si dimostrerà che sono stati adoperati su opere già in costruzione. Il mancato utilizzo è direttamente collegato al ritardo del decollo dell'Agenzia per la Coesione istituita da Enrico Letta.

I limiti di una simile manovra

Peccato che lo scorso anno, si scrive nel pezzo, il premier avesse deciso di sottrarre 3,5 miliardi destinati allo sviluppo del sud per aiutare le imprese con gli sgravi contributivi in ossequio al Jobs Act. Oltre questo errore si può obiettare che il vero nodo sia rappresentato dal patto di stabilità che vincola i comuni a rispettare determinati limiti di spesa.

Cecità istituzionali, ossequio ad impegni già assunti prima di licenziare la Buona Scuola, hanno di fatto impedito di evitare la contestatissima mobilità nazionale. Il risultato è stato quello di avviare un dibattito sulla rinuncia alle immissioni in ruolo tra i docenti da un lato e i rappresentanti del Miur dall'altro.