Sono anni che assistiamo al dibattito trito e ritrito di meridionali che per anni hanno 'rubato' posti di lavoro agli italiani del nord, con punte assolutamente sgradevoli e inaccettabili di discriminazione che non accennavano a diminuire nel tempo. Insegnanti che per esigenze di lavoro accettavano di trasferirsi in mezzo alla bruma padana partendo da Carrapepe City (nome di fantasia molto in voga in Sicilia), scatenando la protesta degli indigeni del luogo che, in questo modo, si vedevano sottrarre cattedre sotto il muso. Ed ora che gli stessi insegnanti del sud si oppongono al piano di assunzioni della Buona Scuola che li espone alla possibilità di trasferimento nel 'Continente' (così si chiama giù), invece di sostenere le loro ragioni c'è chi li critica perché non sarebbero più disposti ai sacrifici.

Ricordo ancora i discorsi delle mie cugine di Gela, paese dal quale provenivano i miei genitori, discutere sull'opportunità di accettare un posto a Bolzano. Tutt'ora ne ho una che svolge supplenze in una primaria di questa città settentrionale.

Ritorno dal 2008

Ricordiamo ancora le 10 mila classi tagliate nel 2008 dall'allora ministro Gelmini. Mai scelta politica fu più sciagurata di questa perché l'effetto immediato fu proprio quello di inasprire il fenomeno della migrazione di insegnanti meridionali verso le provincie del nord Italia. Decine di migliaia di precari costretti ad una deportazione forzata che oggi il governo ci ripresenta sotto le mentite spoglie della eliminazione del precariato.

Ma così si rischia di radere al suolo tutta la scuola pubblica. Ed è a questo punto che i precari del sud si ribellano e dicono no alla deportazione provocata dalla legge 107. Un dejà vù a cui ci si oppone e che andrebbe respinto sostenendo ed incoraggiando le ragioni dei precari del sud, innestando la retromarcia ed intervenendo con investimenti strutturali in grado di riaprire scuole nel 'Mezzogiorno'.

Volontà esclusivamente politica

Era stato lo stesso Matteo Renzi a dire che bastava trovare una vecchia caserma o un immobile dismesso, o meglio ancora un procedimento amministrativo da accelerare. Qualche giorno fa citava la spending review per annunciare un taglio delle tasse nei prossimi tre anni. E se invece si usassero le risorse risparmiate per riattare vecchi edifici di cui l'Italia è piena?

In questo modo si coniugherebbero esigenze strategiche di rigenerazione urbana e ottimizzazione di scuole, risolvendo sul serio il problema delle classi pollaio e delle centinaia di migliaia di docenti precari in attesa di una cattedra. Non è certo un problema trovare edifici dismessi; basta digitare sul motore di ricerca “edifici dismessi al sud” per trovare un primo interessante link a cura de LINKIESTA. Nell'articolo vengono citati gli esempi di 'riuso' come l'area del vecchio mattatoio di Testaccio a Roma.

Effetti

Oltre a risolvere degnamente il problema del precariato finalmente vedremmo terminare quei deprimenti campanilismi che dividono in categorie rigide (Tfa, Pas, Sfp, Diplomati magistrali, III fascia, Gae, di ruolo) i docenti tutti, contrastando il concetto del 'dividi et impera' così funzionale ai governi al punto tale da farlo apparire quasi inestirpabile. E per fare tutto questo basta un semplice Documento di Programmazione Economica e Finanziaria che preveda risparmi di spesa da destinare al riuso di edifici dismessi.