La disoccupazione è scesa al 12%: si tratta del tasso di disoccupazione più basso da due anni a questa parte. L’incremento speculare degli occupati rispetto allo stesso periodo del 2014 (in un anno 235mila occupati in più) porta indietro le lancette dell’orologio ai livelli percentuali (56,3%) del 2012. Questi i dati sull’occupazione, pubblicati ieri dall’Istat, che fanno sorridere il Governo. Scettica, invece, la reazione di sindacati e Confindustria, per i quali il miglioramento sul fronte dell'occupazione è dovuto alla congiuntura economica, mentre il giudizio sull’impatto sul mercato del lavoro del Jobs Act e degli sgravi contributivi previsti dellalegge di stabilità 2015 per le imprese che assumono a tempo indeterminato resta controverso.

Su questi dati sembrano pesare di più gli effetti della riforma Fornero delle pensioni. Infatti, a trainare l’aumento dell’occupazione, spiegano gli analisti dell’Istituto, sono soprattutto i contratti degli ultra cinquantenni, rimasti sul mercato del lavoro non avendo ancora maturato i nuovi requisiti per l’accesso all’assegno previdenziale. In calo, comunque, anche la disoccupazione giovanile, scesa al 40,5%. Peraltro, non va trascurato, considerando anche i segnali di ripresa che vengono dal settore del turismo, che questi dati escono in concomitanza con il periodo estivo e l’avvio dei tipici lavori stagionali. Al sud, infine, il quadro si presenta a tinte più fosche, con la disoccupazione che resta oltre il 20%.

Cresce, anzi, il divario con il resto del Paese.

I dati del ministero del Lavoro

La pubblicazione dei dati dell’Istat sull’occupazione segue a ruota quelli sui contratti comunicati dal ministero del Lavoro che sono stati al centro di un “caso” nei giorni scorsi. I primi dati diffusi dai tecnici di via Veneto, infatti, erano gonfiati ed il dicastero è dovuto correre in fretta ai ripari, correggendo il tiro: i posti di lavoro a tempo indeterminato persi erano stati sottostimati, con un conseguente effetto domino sulle altre componenti delle tabelle ministeriali.

A conti riveduti e corretti, i nuovi contratti stabili sono 327mila e non 630mila, come inizialmente annunciato. L’errore di calcolo era stato denunciato da una giovane economista, Marta Fana, su Il Manifesto. Occorre considerare, peraltro, che il ministero del Lavoro pubblica solo i dati delle comunicazioni obbligatorie e, pertanto, non è possibile valutare il saldo tra l’attivazione e la cessazione dei contratti in termini di aumento o diminuzione dell’occupazione, posto che ad uno stesso lavoratore possono far capo più contratti nel corso del tempo.

La guerra dei numeri

L’eccesso di dati, neppure comparabili tra loro (ogni mese Istat, Inps e ministero del Lavoro pubblicano dati diversi, con differenti oggetti di indagine, come spiega chiaramente Walter Passerini su La Stampa del 28 agosto scorso) contribuisce ad alimentare tra Governo, forze politiche e parti sociali un dibattito intorno alla loro interpretazione spesso strumentale, che disorienta l’opinione pubblica. Meglio, pertanto, sospendere il giudizio sull’efficacia della maggiore flessibilità del lavoro introdotta con le tutele crescenti (ricordando che si tratta della quarta riforma del mercato del lavoro negli ultimi 20 anni) quantomeno in attesa degli ultimi quattro decreti attuativi delle deleghe del Jobs Act, il cui esame è stato rinviato al Consiglio dei ministri del prossimo 4 settembre.