“Brexit means brexit aveva dichiarato Theresa May appena nominata Primo Ministro di Sua Maestà Britannica.

E Brexit sarà, nonostante le dimisssioni del ministro degli affari esteri Boris Johnson, l’alfiere del fronte del leave durante la campagna referendaria del 2016 e del sottosegretario David Davis, da tempo insofferenti nei confronti della cautela con la quale il Premier Inglese sta portanto avanti i difficili negoziati con l'UE.

Poichè, anche in Politica, i fatti contano più delle parole, al posto di Davis arriva Dominic Raab, un altro brexiteer.

Un chiaro segnale che indietro non si torna, con buona pace di tutti coloro che al di qua e al di là della Manica stanno ancora aspettando l'indizione di un nuovo referendum (ma, purtroppo per loro, partita vinta non si ri-gioca) o, addirittura, la secessione della Scozia filoeuropea.

La fronda Anti-May

Magari Theresa May non sarà Margaret Thatcher, la Lady di ferro. Purtuttavia, la linea soft portata avanti dal suo governo nel corso dei negoziati con Bruxelles prevede, semplicemente, un'area di libero scambio e nuove intese doganali con l'UE. Nulla che possa far gridare al tradimento del voto referendario, così come invece denunciano i due esponenti del governo dimissionari.

D'altro canto, quelli in corso tra UK e UE sono negoziati particolarmente complessi sul piano giuridico, al punto che l' articolo 50 del Trattato Ue prevede fino due anni di tempo per l'exit di un Paese membro.

Al netto della dietrologia, insomma, i tempi lunghi che sta richiedendo la Brexit non accendono la spia di un tentennamento o, meno che mai, di un ripensamento britannico, ma sono del tutto fisiologici.

Le dimissioni di Johnson e Davis, salutate dalla standing ovation di esponenti politici tory di primo piano come Peter Bone, Andrea Jenkyns e Harry Smith, dunque, valgono per quello che effettivamente sono e, cioè, un ideale guanto di sfida alla leadership della May, nel quadro di un regolamento di conti interno al Partito Conservatore.

La svolta euroscettica del Labour Party

Anche sul fronte opposto, quello del partito laburista., che durante il referendum del 2016 era schierato, timidamente, per il Remain, si è registrata un significativa svolta verso posizioni euroscettiche. Svolta che è andata di pari passo con la crescente affermazione della leadership di Jeremy Corbyn.

Insomma, in UK l'attuale braccio di ferro non è tra filoeuropeisti ed euroscettici, ma tra euroscettici ed eurocontrari.

Tutto, dunque, lascia pensare che la Brexit sia un processo lento, ma ormai irreversibile, quale che sia l'esito di eventuali elezioni politiche anticipate.