Il contratto di Governo è intoccabile, questo continuano a dire i leader ed i massimi esponenti dei due partiti che hanno dato vita al nuovo Governo del Premier Conte. Non poteva essere altrimenti, se è vero che l’intesa trovata da Salvini e Di Maio, leader di due forze politiche in molte cose agli antipodi, risulta legata esclusivamente a quel contratto con tutte le cose da fare urgentemente. Naturalmente non si può fare tutto in un giorno, perché molti dei provvedimenti inseriti nel documento hanno bisogno di tempo. Il primo appuntamento per alcune delle misure previste dal contratto di Governo, già ribattezzato contratto del cambiamento, risulta essere la Legge di Bilancio che subito dopo le vacanze estive, inizierà ad essere approntata dal nuovo Consiglio dei Ministri.

I numeri ci sono, cioè in Parlamento i due partiti hanno la maggioranza per approvare tutte le misure cui vorrebbero dare vita, ed è così che quota 100, una delle misure previdenziali che aiuterebbero a superare la riforma Fornero, si avvicina sempre di più.

Come funzionerebbe

Usare il periodo ipotetico è necessario perché quota 100 è ancora nella versione embrionale. A partire dall’età di 64 anni, i lavoratori potrebbero iniziare ad andare in pensione senza attendere il raggiungimento dell’età pensionabile di 67 anni come diventerà necessario dall’anno venturo per le Pensioni di vecchiaia e per gli assegni sociali. Per uscire però, sarà necessario che all’età pensionabile vengano aggiunti tani anni di contributi previdenziali versati da arrivare a 100.

L’età minima da cui far partire quota 100 però sposta le pensioni in avanti negli anni a coloro che oggi possono rientrare nell’orbita dell’Ape sociale, misura che come riporta il quotidiano “Il secolo XIX” in un articolo di oggi, l’ex Ministro Cesare Damiano suggerisce di rendere strutturale e affiancata proprio a quota 100.

Il suggerimento nasce dal fatto che il professore Alberto Brambilla, ex sottosegretario del Governo Berlusconi, esperto in materia previdenziale e soggetto che ha approntato per Lega e M5S il capitolo pensioni del contratto di Governo, prevede la cancellazione dell’Ape per dare spazio oltre che a quota 100, anche a quota 41 ed all’estensione di opzione donna.

L’Ape Sociale però consente di lasciare il lavoro a 63 anni, anche se si tratta di una misura destinata ad una platea di soggetti ben definita e non alla generalità dei lavoratori come sarebbe quota 100. Disoccupati, invalidi, caregiver, ma anche e soprattutto, 15 categorie di soggetti impegnati in lavori gravosi sarebbero penalizzati di un anno rispetto all’Ape sociale. Anziché 63 anni si potrebbe lasciare il lavoro a 64, perché sempre per motivi di coperture finanziarie, le combinazioni possibili per quota 100 sarebbero solo 64 anni e 36 di contributi, 65 e 35 o 66 e 34. Cancellare l’Ape sociale e con essa tutto il concetto di lavoro particolarmente pesante o gravoso che è stato uno degli argomenti centrali dei discorsi previdenziali con gli ultimi Governi PD.

Tra coperture e ricerca di gradimento del Governo

Secondo il professor Brambilla servono 5 miliardi per mettere in pratica le misure previse da contratto solo per il punto sulle pensioni. Gli scettici, tra i quali anche l’Inps, valutano il programma previdenziale di Lega e M5S, in termini di spesa pubblica, insostenibile perché secondo loro 5 miliardi di euro sono pochi e ne servirebbero almeno 15. I soldi da destinare alle pensioni sono il fattore principale della attuale ricerca di correttivi, vincoli e paletti da inserire nelle misure che si andranno a creare. Come al solito quindi, nascono misure previdenziali ma allo stesso tempo, nascono i paletti che mirano a ridurre la platea di soggetti a cui erogare gli assegni previdenziali.

Ecco perché una quota 100 che prescinda dall’età pensionabile dei 64 anni appare improbabile. Resta il nodo che cancellare l’Ape sociale significa anche deludere quanti potevano sfruttarla e che adesso devono attendere il 64mo anno di età per rientrare nell’orbita quota 100.