Ormai siamo vicini alla scadenza del contratto collettivo per tutti i comparti della Pubblica Amministrazione. Il CCNL che ha prodotto, ad inizio 2018, gli aumenti di stipendio e gli arretrati per dipendenti della scuola, delle forze di sicurezza, dei ministeriali e dei lavoratori degli enti locali, sta già per scadere. Il 31 dicembre 2018 infatti è la data di scadenza fissata nelle mai dimenticate piattaforme di rinnovo che seguirono la famosa sentenza della Corte costituzionale che bocciò il blocco della perequazione degli stipendi della PA imposto dalla Fornero.
A meno di un anno dalla chiusura di quel rinnovo, siamo già prossimi all’apertura di una nuova fase di trattative per il nuovo contratto che avrà durata triennale, cioè dal 2019 al 2021. Dalla relazione tecnica che accompagna la manovra finanziaria del governo Conte iniziano a delinearsi importi, date e struttura del nuovo contratto che l’esecutivo andrà come consuetudine a proporre ai sindacati. Quanto si percepirà in più di stipendio nel 2019? Questa la domanda che inizia a balenare nella testa degli oltre 3 milioni di dipendenti di cui consta la Pubblica Amministrazione nei suoi 4 comparti.
Arrivano le prime stime
Con la manovra che ancora deve completare il suo iter parlamentare, quando potrebbero arrivare correttivi dagli immancabili emendamenti che alle due Camere i gruppi parlamentari presenteranno, si possono già stimare, in base alle cifre stanziate in manovra, gli aumenti di stipendio che i lavoratori potrebbero andare a percepire.
La dotazione a disposizione è passata da 3 a 4,3 miliardi. La dotazione è su base triennale, cioè andrà a coprire tutta la durata del nuovo contratto e, pertanto, per ognuno di questi 3 anni ci sarebbe oltre un miliardo di euro da spalmare tra i lavoratori. Ai soldi stanziati dal governo dovrebbero andare ad aggiungersi quelli che devono mettere a bilancio regioni e comuni.
Per questi enti locali si parla di cifre simili a quelle dell’esecutivo, cioè ulteriori 3 miliardi che andranno a rimpinguare la dotazione per i lavoratori. Come riportato nella relazione che fa da corollario alla legge di bilancio, che riporta anche i calcoli effettuati dai tecnici della ragioneria generale dello Stato, l’aumento previsto dovrebbe assestarsi per l’anno venturo, in un buon 2% di incremento per lavoratore.
In pratica, calcolando la media degli stipendi di questi lavoratori, si tratterebbe di aumenti medi di oltre 32 euro a dipendente.
Meccanismo ed elemento perequativo
La spartizione dei soldi messi a bilancio, in attesa che regioni e comuni confermino la loro quota da mettere nel piatto, dovrebbe arrivare nel 2021 a concedere aumenti di stipendio di circa 49 euro a dipendente. Secondo le indiscrezioni, gli aumenti potrebbero prevedere un avvio in due fasi, con un primo step ad aprile 2019 ed un secondo a luglio. Il governo infatti ha stabilito di destinare nell’immediato, quindi per il 2019, 1,1 miliardi di quanto stanziato in concorso con gli enti locali. Per il 2020 la cifra disponibile salirà a 1,425 miliardi e per l’anno successivo si salirà a 1,775.
In attesa che il meccanismo venga chiarito con l’approvazione della manovra e naturalmente, con l’ok da parte dei sindacati, sembra che sarà confermato anche nel nuovo contratto, l’elemento perequativo che sembrava in procinto di essere perduto da parte dei lavoratori. Si tratta della somma corrisposta dall’attuale contratto vigente, ai lavoratori delle fasce stipendiali più basse ed inserito a copertura degli aumenti medi di 85 euro previsti dal documento.