Non c'è molto tempo per una riforma delle Pensioni che possa far evitare ai contribuenti lo scalone previdenziale per il fine quota 100 del 31 dicembre 2021. Sulle varie possibilità di uscita, il presidente Inps Pasquale Tridico ha tracciato un'analisi sui vari meccanismi alternativi ai pensionamenti con 38 anni di contributi e l'età minima di 62 anni.
Tuttavia, i sistemi alternativi ipotizzati negli ultimi mesi sarebbero stati tutti bocciati, per ultimo dal governo Draghi. In primis la quota 41 per tutti che risulterebbe troppo costosa per il bilancio statale.
Secondo le stime Inps, la sola quota 41 arriverebbe a costare fino a mezzo punto di Prodotto interno lordo all'anno.
La soluzione, per Tridico, sarebbe quella di arrivare a meccanismi di flessibilità delle pensioni che consentano di tenere in ordine i conti dello Stato.
Pensioni, fine quota 100 al 2021: escluse le ipotesi della quota 41 e della 102
Sembra tramontata, infatti, anche l'idea di una quota alternativa alla 100, la quota 102. L'uscita con la combinazione età-contributi, ovvero 64 anni di età e 38 di contributi oppure 63 anni e 39 di contributi, parrebbe produrre un costo per lo Stato troppo alto. Tanto è vero che il ministero dell'Economia sarebbe per il "mai più quote".
Tuttavia, il governo Draghi dovrà intervenire per evitare la creazione dello scalone previdenziale a partire dal 1° gennaio 2022, quando i contribuenti "orfani" di quota 100 dovranno attendere fino a sei anni per maturare la prima data utile per la pensione.
Si arriverebbe a creare, secondo Tridico, una situazione di disparità (si pensi a chi maturerebbe i requisiti della quota 100 il 1° gennaio prossimo) che non potrebbe essere giustificata nemmeno da una situazione economica di difficoltà quale quella che fu costretto ad affrontare Mario Monti per arrivare alla riforma delle pensioni di Elsa Fornero.
Riforma pensioni 2022: la riduzione attuariale degli assegni è già intrinseca alle formule di pensione anticipata
La coperta sulle pensioni e sulla riforma è sempre troppo corta. L'idea di Pasquale Tridico è quella di arrivare a pensioni flessibili, con uscita a partire dai 63 anni. La scelta dell'età di uscita è del contribuente, purché accetti la riduzione attuariale dell'assegno futuro di pensione.
Tale riduzione, al giorno d'oggi, si applica solo alla quota contributiva, sull'intero importo della pensione.
Un meccanismo del genere porterebbe alla riduzione media di un punto e mezzo per ogni anno di anticipo rispetto ai requisiti di uscita della quota 100, e a 6 punti di riduzione del mensile di pensione per un anticipo pieno, ovvero di quattro anni rispetto ai 67 della pensione di vecchiaia. Questo meccanismo si sposerebbe con i nuovi pensionati che matureranno i requisiti nei prossimi anni, quando la quota contributiva sarà sempre più alta con una riduzione già attuata dalle opzioni di pensione anticipata.
Pensione con riduzione attuariale e soglia minima di 1450: le possibili alternative di riforma di Draghi
La riduzione attuariale per mandare in pensione i contribuenti dal 1° gennaio 2022 costituirebbe un modo per eliminare le attuali differenze tra le pensioni contributive e quelle del sistema "misto". Chi ricade in quest'ultimo meccanismo, i più interessati alle alternative della fine di quota 100, con almeno 20 anni di contributi e una soglia di pensione futura di 1450 euro, sarebbero incentivati a lasciare il lavoro.
L'idea di Tridico è che su questa soglia di pensione futura il governo Draghi potrebbe fare i suoi ragionamenti e le sue ipotesi. Si potrebbe abbassare tale soglia a 1000 euro, ovvero a due volte la pensione minima, per allargare quanto più possibile la platea dei contribuenti disposti al ricalcolo e alla riduzione attuariale delle propria pensione futura pur di uscire il prima possibile.
Un sistema previdenziale del genere non produrrà costi elevati per lo Stato, in quanto i maggiori oneri verrebbero compensati da assegni di pensione leggermente più bassi. E ne potrebbero approfittare anche le imprese con un sistema parallelo ai contratti di espansione: le realtà aziendali, infatti, sarebbero incentivate a pagare i contributi aggiuntivi agli esuberi pur di mandarli in pensione anticipatamente.