Il Brasile dei caporali: altro che Maracanazo!
Il calcio sa sempre come stupirci: vedere i tifosi del Brasile che sciamano via dal Mineirao già dopo il primo tempo, strappando i biglietti che avevano pagato a peso d'oro e urlando "vergogna" mi ha sconvolto. Non tanto per la reazione, del tutto comprensibile, di appassionati di calcio abituati a ben altra squadra e ben altri risultati. Quanto perché poche ore prima nessun bookmaker si sarebbe mai azzardato a dare una squadra favorita sull'altra.
Le quote di Germania e Brasile erano rimaste inchiodate per ore: 2.75 per entrambe per la vittoria della partita e 3.40 a testa per la vittoria del Mondiale.
Il successo della Germania era possibile, soprattutto considerate le assenze di Neymar e di Thiago Silva, ma probabile almeno quanto quello del Brasile. Quindi commentare questo 7-1 diventa qualcosa di assolutamente imprevisto e, in particolare per un simpatizzante della Seleçao, straziante.
Si può solo fare autocritica.
Il Brasile ha accolto l'esito della partita sotto shock. Se pensiamo che il paese ancora oggi non ha completamente metabolizzato il dramma della sconfitta al Maracanà nel 1950 da parte dell'Uruguay, potete immaginare quanto ci vorrà per ridare serenità a un paese per il quale il calcio più che oppio o ragione di vita è essenza della vita stessa. Il dato di fatto tuttavia, al di là di ogni considerazione più partigiana, è che il Brasile che si presentava a questo mondiale non era, e non è, una squadra straordinaria.
Un conto è vincere Mondiale con Pelé o Garrincha, con Ronaldo, Romario o Bebeto: un altro è avere Fred. L'unico vero fuoriclasse è Neymar, giocatore che ha numeri eccezionali ma che era al suo primo mondiale ed è ancora acerbo. In porta un veterano come Julio Cesar, il resto, Thiago Silva a parte, è caporalato.
Scolari, chiamato al capezzale di una squadra che era stata inizialmente affidata al giovane Mano Menezes aveva il compito di saldare la formazione e soprattutto di farla digerire all'incontentabile stampa brasiliana.
Smussando le pressioni, allentando i dubbi, cercando di limitare la sfiducia. Ma quando ti presenti in campo con Fred con il numero nove sulla schiena si capisce che c'è poco da fare. Anche perché le alternative nei 23 e fuori, tra i giocatori lasciati a casa, non è che fossero straordinarie.
Un conto è essere eliminati.
Un conto è essere presi a calci in casa propria e fare una figuraccia di fronte al mondo intero su una delle cose che ti sta più a cuore. Ci vorranno anni per cancellare quest'onta dalla generazione del calcio brasiliano: non basterebbe un successo alle prossime Olimpiadi di Rio, l'unico titolo calcistico che il Brasile non ha mai vinto nella sua storia e forse nemmeno un altro mondiale. Ma evidentemente di più e di meglio non si poteva fare. Restano le lacrime, la rabbia e quella parola, "vergogna", che riecheggia in tutto il paese.
Difficile trovarne un'altra più adatta.