L’art. 75 della nostra Costituzione lo dice chiaramente: 500mila elettori o cinque consigli regionali possono richiedere un referendum “abrogativo”, ovvero con il fine di “deliberare l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge”. La consultazione popolare del 17 aprile è stata chiesta da quasi lametà delle regioni italiane: sono stati infatti ben 9 i consigli regionali (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto) che, in nome della tutela superiore dell’ambiente, hanno esercitato uno dei poteri più importanti che la Costituzione gli attribuisce.
Per cosa si vota?
Il quesito referendario chiede che sia abrogata la norma che consente la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas, entro le 12 miglia dalla costa, senza alcun limite temporale. Oggetto del referendum è proprio la parte della legge che stabilisce che le compagnie petrolifere possano continuare ad operare fino “alla durata di vita utile del giacimento”, quindi fino all’esaurimento dello stesso. La situazione attuale prevede che le trivelle in mare possano rimanere per la durata prevista dalle concessioni, prorogabili poi ulteriormente fino a quando, in pratica, ci sia qualcosa da estrarre. Il referendum punta proprio ad evitare la possibilità di proroga. In questo modo, nel giro di qualche anno (quindi non immediatamente, anzi) cesserebbero le trivelle in mare entro le 12 miglia dalla costa lasciando libero un bel pezzo di mare dalle attività delle varie compagnie internazionali, tra cui Eni e Shell.
Il dibattito è acceso e molto interessante. Da una parte ci sono coloro che sono dalla parte del No, ovvero che vogliono respingere il referendum - tra i quali troviamo personaggi reduci dalla sconfitta subita nel 2011 con il referendum sul nucleare - che portano avanti ragioni come il bisogno di avere più combustibili fossili a disposizione, la perdita di posti di lavoro e il bassissimo rischio di irreparabili incidenti causati dalle estrazioni; dall’altra parte troviamo coloro che si battono per il Sì, e che quindi vogliono porre fine alle trivelle, che sono coloro che si battono per la tutela dell’Ambiente, per la salvaguardia del mare e per dare un forte segnale al governo affinché si inizi a pensare seriamente ad un piano energetico basato sulle energie rinnovabili, non permettendoci, il pianeta, di aspettare di estrarre tutto il gas ed il petrolio disponibili prima di abbandonare le fonti energetiche derivanti da combustibili fossili.
Perché è importante recarsi alle urne
In ogni caso, comunque la si pensi al riguardo, è molto importante il prossimo 17 aprile andarea votare. Viviamo nell’epoca della c.d. “democrazia rappresentativa” nella quale siamo chiamati a votare dei delegati che prendono delle decisioni al posto nostro, delegati ai quali spesso ci riferiamo come coloro che “pensano solo ai fatti loro, a favorire le lobby” e che “non pensano veramente ai cittadini”.
Illustri studiosi ritengono che non ci troviamo veramente in una situazione democratica dal momento che “la democrazia o è diretta o non è vera democrazia”, in quanto ogni delega finisce per affievolire quello che è il rispetto della volontà popolare. Per questo ogni referendum, straordinario e attualmente unico strumento di democrazia diretta, ha un’importanza elevatissima: è l’unico momento in cui la sovranità appartiene realmente al popolo, in cui il potere decisionale appartiene veramente a noi cittadini, in cui si realizza appieno la democrazia. Non andare a votare vuol dire accettare di essere ormai schiavi di decisioni altrui, per questo è importante recarsi al seggio domenica 17 aprile.
Non finiamo come gli ignavi incontrati dal sommo poeta Dante Alighieri, coloro che "mai non fur vivi", ed esercitiamo quello che è un diritto ma soprattutto un dovere civico. E’ una di quelle rarissime volte in cui decidiamo noi, e non altri, del nostro futuro: non lasciamocela sfuggire.