Come da consuetudine, alla vigilia di ogni consultazione referendaria, a tenere banco, anzichéil merito del quesito referendario,è il dibattito intorno al seguente tema: è lecito invitare gli elettori a disertare le urne? Il dubbio si pone perché, come noto, l’art. 48 della Costituzione stabilisce che l’esercizio del diritto di voto è un “dovere civico”. Sono altrettanto note, ma spesso dimenticate, le ragioni per le quali la nostra Carta costituzionale ha stabilito che è doveroso votare, a differenza di quanto prevedono altri ordinamenti liberali, nei quali anche l’astensione costituisce espressione della libertà di voto.
Il suddetto articolo è nato dall'esigenza, molto sentita all’epoca in cui fu scritta la Carta, di legittimare la neonata Repubblica. Legittimazione che non poteva che derivare da una vasta partecipazione al voto, in qualsiasi occasione i cittadini fossero chiamati ad esprimerlo.
È chiaro che l’art. 48 non stabilisce alcun obbligo giuridico (infatti non è prevista sanzione per chi non vota), sicché la disputa tra legittimità ed illegittimità dell’astensione è fuorviante. Si tratta, piuttosto, di un dovere morale. Proprio in virtù di questa "moral suasion" esercitata dalla Costituzione, l’affluenza al voto in Italia è stata sempre più alta rispetto alla media europea. Ma mentre nessuno dubita che l’invito a disertare, magari per protesta, le elezioni, sarebbe riprovevole, l'invito all'astensione in caso di referendum è talora ritenuto giustificabile.
Perché?
Innanzitutto, entrano in gioco calcoli di convenienza politica che, invece, non hanno ragion d'essere in occasione delle elezioni politiche. Ai sostenitori del "No" conviene favorire l’astensione, per far prevalere la loro posizione. Spesso sono gli stessi esponenti politici ad appoggiare, di volta in volta, l’uno o l'altro schieramento, a seconda che siano favorevoli o contrari al quesito referendario.
L’argomento più utilizzato dalla propaganda di chi invita gli elettori “ad andare al mare” è il seguente: il fatto che la Costituzione richieda, per la validità del voto espresso dal referendum, la maggioranza degli eventi diritto al voto, dimostrerebbe che l’astensione ha valenza politica. In realtà, una buona parte di chi non va a votare non si reca alle urne neppure in occasione delle elezioni.
Chi invita all’astensione si propone di “affossare” il referendum, sommando il voto di chi è contrario alle ragioni del "Sì" con il “non voto” di chi è disinteressato "tout court" alla “cosa pubblica”. L'effetto distorto è quello di far prevalere, al netto di questi ultimi, una posizione minoritaria dell’elettorato.
La previsione di un quorum per la validità del voto referendario è ricollegabile ad una ragione diversa da quella di legittimare il “non voto”: il referendum è uno strumento di democrazia diretta che si pone in antitesi con il modello costituzionale di democrazia rappresentativa. Questa è la ragione, d’altro canto, per la quale i Costituenti hanno negato l'inserimento, nel nostro ordinamento, del referendum propositivo.
Difatti, introducendo ilreferendum abrogativo, lo hanno depotenziato, limitando la possibilità di far prevalere la volontà popolare rispetto a quella del Parlamento solo nel caso in cui si registri una divergenza macroscopica tra l’una e l’altra.
Inoltre, non si può pensare che l’art. 48 si riferisca solo al voto politico, atteso che la norma è inserita nella parte I titolo IV della Costituzione, che tratta dei rapporti politici in generale. L'esercizio del diritto di voto è, dunque, in base ad una semplice interpretazione sistematica, doveroso in entrambi i casi. Piuttosto, occorrerebbe riflettere sull’attualità di una previsione, come quella del quorum, nel quadro di una costituzione materiale che rapidamente sta voltando le spalle alla democrazia rappresentativa, virando sempre più verso una democrazia diretta di tipo presidenziale, rispetto alla quale l'istituto referendario potrebbe costituire il giusto contrappeso.