Oggi Via Cupa è presidiata dalle forze dell’ordine. Ma i migranti che hanno scelto Roma come città di transito sono ancora per strada. Sulla piazza antistante la basilica di San Lorenzo al Verano, “soggiornano” almeno una settantina di uomini, donne e ragazzi. Sono gli ex residenti del centro baobab. Per costoro le istituzioni di Roma riservano un trattamento speciale: il freddo asfalto vicino al cimitero monumentale.
La mala gestione che caratterizza la vicenda del Baobab può essere riassunta in tre date significative: dicembre 2015, gli attentati di Parigi richiamo l'attenzione dell istituzioni romane sulla presenza di numerosi immigrati non identificati presso il centro di accoglienza, scatta il primo sgombero a cui farà seguito quello parziale del giugno 2016.
Le sirene della polizia tornano a risuonare nella stretta via di magazzini il 30 settembre scorso quando tutti i migranti vengono nuovamente identificati ma solo alcuni, dal quel giorno, meriteranno una sistemazione dignitosa.
Sono ormai le cinque del pomeriggio quando inizio a scattare. I migranti con le loro valigie sono sparsi in tutta la piazza e formano capannelli, con loro i volontari, i loro angeli, i loro traduttori ufficiali. Tra i ragazzi c’è un clima di attesa, si parla, si telefona. Solo pochi di loro vogliono essere fotografati. Alcuni rifugiati scelgono una mountain bike per passare il tempo e fanno a turno per cavalcarla, la stessa mountain bike che tornerà utile poco dopo per riscaldare i muscoli con la discesa delle temperature.
Ammiro la calma e la pazienza di tutti. Con il tramonto e lo scendere delle temperature si accendono i lumi della piazza e i migranti iniziano a coprirsi con ciò che la generosità dei romani a lasciato loro. Ma la serata è appena iniziata e sarà sempre più fredda. I giovani continuano con sempre maggiore frenesia a cavalcare la bicicletta mentre altri passeggiano coperti con turbanti di fortuna.
La chiesa è vuota e molto più calda dell’esterno. Mi capita di incrociare sul porticato due migranti che si accingono ad entrarvi dentro. Un po’ titubante li seguo.
Aperta la porta d’entrata alla navata destra li vedo in ginocchio davanti a me, in preghiera davanti ad un crocifisso ligneo, non posso rinunciare a scattare. Ad un certo punto si sente una voce esclamare: “C’è ancora qualcuno ?” E’ il custode che deve chiudere la basilica e con decisione ci manda via.
Lo sento dire: “C’è un tempo per pregare e un altro per…” sia in italiano che in inglese poi quando mi sente parlare in italiano aggiunge: “Io faccio solo quello che mi dicono di fare” ed io non posso fare a meno di ribattere: “A volte è difficile fare quello che ti dicono di fare”.
Comunque siamo tutti e tre fuori. La luce rossa dei lampioni illumina la piazza mentre arriva un camper; è quello dei MEDU, medici uniti per i diritti umani. I migranti si lanciano verso il mezzo senza pensarci un attimo. Dalla porta laterale del camper scendono traduttori, medici,volontari mentre i giovani si dispongono ordinatamente in fila e aspettano. La loro calma continua a sorprendermi. Osservo in disparte una giovane donna, affiancata da un dottore.
“Ha la malaria” sento dire dal dottore al suo telefono “l’hanno visitata e l’hanno dimessa con cinque di emoglobina” “Non può viaggiare così. Cerca di darmi una mano”. Si attende un aiuto. Si implora un aiuto in Piazza del Verano. Intanto si scaricano i primi sacchi contenenti coperte. Coloro che hanno ultimato la visita dei volontari iniziano ad accaparrarsi le coperte.
Altri che non hanno fatto la fila sono già supini e così si uniscono ai tanti clochard che nello stesso momento nelle piazze di Roma e d’Italia si distendono sull’asfalto freddo e cercano in qualche modo di assicurare i piedi sotto la lana.