Il confronto tra Renzi e zagrebelsky,andato in onda il 30 settembre su La7 e mediato da Enrico mentana,è stato più che politico o giuridico, un raffronto tra due personalità, tra due tipi culturali e addirittura antropologici completamente differenti. Da una parte la spigliatezza del Presidente del Consiglio, certamente abituato a manovrare il mezzo televisivo con facilità, dall'altra la lentezza del pensiero del professor Zagrebelsky, non avvezzo ai tempi televisivi.

Era impossibile non focalizzare l'attenzione sull'arroganza di Renzi, dedito a battute e frecciatine soprattutto nei riguardi del Movimento 5 Stelle (cosa quantomeno fuori luogo in quel contesto), smorfie ed espressioni facciali preparate "ad hoc", nonché ad atteggiamenti fintamente referenziali nei confronti del professore ("non mi deluda su, professore!

Io ho studiato sui suoi libri!").

Atteggiamento palesemente subdolo, se consideriamo quante volte il Premier ha interrotto Zagrebelsky, ignorando quanto da lui detto, e prevaricandolo a suon di slogan stantii e frasi fatte, senza dimenticare tutte le volte in cui si è rivolto al giurista, apostrofandolo con frasi del tipo "ma lei lo sa che...?", oppure "ora le spiego una cosa...", dimenticando di avere di fronte un ex giudice della Corte costituzionale, di cui è stato anche presidente per quasi dieci anni.

Non pago di tutto questo, il Capo del Governo ha anche spostato la discussione su questioni personali. Renzi, infatti - grazie senz'altro a un dossier preparato dai suoi collaboratori - ha sviscerato il passato del professore, riportando alcune sue vecchie dichiarazioni, estrapolandole e re-interpretandole per mettere in cattiva luce il suo avversario.

Più di una volta ha finto di non comprendere le argomentazioni di Zagrebelsky - che non si limitava a dire "sì" o "no", ma preferiva argomentare in maniera ampia - concludendo con asserzioni del tipo "sono contento che anche il professore sia d'accordo". Il che non è vero, s'intende.

Ma un linguaggio superficiale, utilizzato per veicolare pensieri banali e semplicistici, arriva più facilmente al pubblico, si sa.

Se è vero come scriveva Orwell nel 1946, che il caos politico è connesso al decadimento del linguaggio, allora Renzi rappresenta l'emblema di quel caos, non il "rottamatore".

Con il suo novismo è convinto di essere più avanti dei suoi interlocutori, ma non riesce ad andare oltre una coltre di ritornelli di facile presa, nel nome di una vera e propria semplificazione ideologica.

La sua è una pop-politica estremamente "catchy".

La voce di Zagrebelsky sembrava non riuscire proprio a trovare posto in mezzo agli "schiamazzi" del suo interlocutore. Inizialmente, il professore sembrava genuinamente interessato al confronto con il Premier, ma sul calare della discussione ha accusato stanchezza e insofferenza culturale e morale.Laddove il giuristaavesse desiderato approfondire, spiegare, analizzare, Renzi si è scagliato con frasi superficiali e meramente pragmatiche, nel tentativo di far giungere il messaggio del "sì" anche all'ascoltatore più distratto e meno informato.

In tal modo il Presidente del Consiglio si è dimostrato, ancora una volta, eccessivamente legato a quelpopulismo contro il quale, invece, spesso è solito scagliarsi.

Ma ciò non deve sorprendere. In fondo, come scriveva ancora una volta George Orwell:"il linguaggio politico [...] è elaborato per far sembrare vere le menzogne e rispettabile l'omicidio e per dare un sembiante di solidità al vento".