Siamo in attesa che il governo di Matteo Renzi l'11 ottobre, nuova data fissata dopo quella precedentemente annunciata del 4 ottobre, decida quale cifra potrà essere realmente stanziata per finanziare la ricostruzione dei borghi distrutti nella notte del 24 agosto, quando il Terremoto ha raso al suolo Pescara del Tronto e amatrice, e danneggiato in modo pesante Arquata del Tronto e moltissime altre frazioni del centro Italia. Intanto, i sopravvissuti si preparano ad un nuovo trauma, che è l'abbandono delle loro terre: infatti dovranno lasciare le tende per altre sistemazioni più idonee.

Amatrice non rinascerà

Io stessa ho riportato più volte nei miei articoli le parole piene di speranza e determinazione che molte persone, a partire dal sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, hanno ripetuto fin dai primi attimi seguiti al drammatico sisma. Amatrice rinascerà, più bella e forte di prima, è stato promesso; e così come per Amatrice anche per tutti gli altri borghi si è espressa l'intenzione di ricostruire nello stesso luogo. In molti, istituzioni in testa, hanno ribadito il fatto che queste comunità non devono essere sradicate, che deve essere concesso loro di restare nei luoghi che amano. La realtà che però raccontano i reporter che in questi giorni si sono recati sui luoghi del terremoto però è ben diversa.

Anche se gli hanno detto "non vi lasceremo soli", gli abitanti dei borghi colpiti soli lo sono già. Sanno di essere stati dimenticati dai media, ma soprattutto hanno perso il contesto che era loro consueto. Ora serpeggia il (legittimo) dubbio che le parole non siano altro che questo, parole, e che Amatrice non rinascerà.

Uccisi molte volte

Non è facile spiegare cosa si prova dopo un evento traumatico come un terremoto, e nemmeno io sono in grado di dirlo per esperienza diretta, ma una cosa la posso capire molto bene. Ad Amatrice, o Arquata, o in una qualunque delle altre piccole frazioni che ne sono state colpite, dire "sono morte 293 persone" significa dire "sono morti 293 amici".

In queste realtà si conoscono tutti, ogni mattina si esce e si incontrano le stesse persone. La quotidianità è fatta di sorrisi, facce, saluti, cosa impossibile da comprendere per chi vive in città. Questo è ciò che manca a questa gente oggi, oggi che sta in tenda ma sa che dovrà andarsene anche da qui, e chissà dove. Come se anche loro fossero morti quella notte, e venissero uccisi di nuovo ogni volta che la gelida burocrazia impone azioni per loro incomprensibili.

Se ce ne andiamo non torneremo mai più

Sono stati promessi i MAP, i moduli abitativi che arriveranno in primavera; ma quel giorno chi avrà ancora voglia di tornare, ad un luogo che non si conosce più, dopo aver ricostruito la vita altrove, senza più ritrovare i volti familiari?

Tutti questi aspetti non sono stati ben considerati da chi deve organizzare la ricostruzione. Di certo c'è un modo più umano e meno brutale di trattare chi già sente di aver perso tutto. Quello che vorrei è che per una volta le istituzioni si modellassero sulla realtà del paese, e non viceversa; che gli interessi opportunistici di pochi non finissero per prevalere sul buon senso e sul buon cuore.