Fabiano Antoniani aka Dj Fabo era un ragazzo molto vivace e ribelle, con una grande passione: la musica. Suonare per gli altri lo rendeva felice, gli permetteva di sognare e dare un tocco magico alla sua vita. Quella stessa vita che si vede stravolta il 13 giugno 2014: un incidente stradale lo costringe a letto, "in una notte senza fine". Cieco e tetraplegico, sceglie di poter morire senza soffrire. Ma in Italia non può, nonostante l'associazione Luca Coscioni abbia depositato nel 2013 in Parlamento una proposta di legge per legalizzare l'eutanasia.

Anzi, è di qualche giorno fa il terzo rinvio all'approdo alla Camera del ddl sul testamento biologico. "Diventa evidente l'assenza di una volontà politica per approvare la legge. Di fronte a una richiesta sociale sempre più pressante di regole che consentano a tutti di morire senza soffrire, il comportamento irresponsabile del Parlamento contribuisce a togliere credibilità alle istituzioni": questo il commento di Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione e promotore della campagna Eutanasia, il quale ora rischia fino a 12 anni di carcere. Il reato? Aver dato a Fabo la possibilità di morire con dignità e dar fine ad ogni sofferenza, fisica e psicologica. Se la morte non può essere un diritto perché fatto e non bene garantito dalla società, è un diritto autentico una morte degna.

Diritto alla vita o diritto alla morte?

Qual è la vita che va difesa? La vita in quanto vita, cioè quella biologica, oppure la vita in cui esiste consapevolezza del sé? Siamo di fronte alla “morte capovolta”, cioè negata: la morte viene considerata “politicamente scorretta”. L’opinione pubblica è davanti all’estrema conseguenza del progresso scientifico: persone che la medicina costringe a continuare a vivere, quando vorrebbero poter morire: questa è la situazione che sta a monte del dibattito sull’eutanasia.

L'esempio svizzero

Benché l’eutanasia non sia ancora disciplinata espressamente da legge federale, in Svizzera è affidata all’interprete delle leggi l’individuazione dei limiti entro cui ammettere un contributo a provocare la morte di un individuo. Un contributo di grande rilevanza è stato dato dalla Corte Suprema svizzera: “Ogni persona capace di intendere e di volere ha il diritto di decidere in ordine a modi e tempi della propria morte: trattasi di un diritto di tutti gli uomini, come riconosciuto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”.

La chiave di lettura che ha reso la Svizzera lo Stato più permissivo sta tutta nella frase “per motivi egoistici”: in pratica, chi vuole essere accompagnato al suicidio deve essere capace di intendere e di volere, decidere in piena autonomia ed essere in grado di suicidarsi da sé. L’accompagnamento al suicidio è praticato prevalentemente al di fuori delle istituzioni mediche statali, e sono sei le organizzazioni private che attualmente se ne occupano: EXIT (DS e ADMD), Dignitas, EX International, Verein Suizidhilfe e Life Circle – Eternal Spirit.

Il caso Exit Italia

In Italia, c’è un’associazione che fa da tramite con le cliniche elvetiche operanti sugli stranieri: è la Exit Italia, fondata il 7 settembre 1996 da Enrico Coveri.

Aderendo all’associazione, si ottiene un testamento biologico legalmente valido che, in situazione di emergenza, viene portato avanti dal punto di vista legale. Colui che desidera essere accompagnato al suicidio invia le sue cartelle cliniche al vaglio di una equipe di medici svizzeri: la domanda viene accettata se le condizioni sono irreversibili nonché degenerative. Accettata la domanda, al paziente viene fissato un appuntamento, cui deve presentarsi due giorni prima disponendo della possibilità di soggiorno in un albergo: qui un medico visita il paziente e cerca di dissuaderlo. Chi decide di andare avanti, dopo l’ultima notte in albergo, viene condotto in clinica dove il medico si interroga sulle reali condizioni e convinzioni del paziente, per poi disporlo su un letto in attesa che il medico proceda al suicidio assistito.