Per parlare di Sulcis bisogna conoscerlo, per parlare di Sardegna e di sardi bisogna capirne l'essenza, per comprendere le trasformazioni che hanno attraversato l'isola dalle mille leggende è necessario conoscere una storia antica e profonda che richiama un immaginario fiero e indomito, lontano dai compromessi. Tuttavia, come spesso accade in qualunque società, interviene un elemento a incrinare e a modificare, che si inserisce sulle tavole per garantirvi il pane quotidiano, amorevole quando abbonda, temuto quando minaccia di scomparire, necessario allo sviluppo, fatica di generazioni, agognato e desiderato, il lavoro che va, il lavoro che resta, proprio come il lavoro nella fabbrica di Domusnovas, la RWM Italia Spa, con sede nel bresciano e appartenente al colosso internazionale Rheinmetall Defense.

L'inchiesta

La storia non è nuova, seppur tornata alla ribalta nelle ultime settimane a seguito dell'inchiesta condotta dal New York Times sulla fabbrica impegnata principalmente nella produzione di contromisure, di munizioni e di testate calibro medio-grande destinata al mercato dell'Arabia Saudita , che il quotidiano statunitense ha titolato con “Bombe italiane, morti yemenite”. Da un lato l'eterna contrapposizione tra pace e guerra, dall'altro l'eterno stato di necessità tra lavoro e disoccupazione, ma nel mezzo cosa resta? I 270 lavoratori con una lettera aperta fanno sapere di voler soltanto continuare a lavorare come hanno sempre fatto, nel rispetto delle leggi e lontano dalla prospettiva della riconversione.

La scelta

Riconversione già chiesta nel 2015, quando il 10 ottobre venne organizzato un sit-in dalla Tavola sarde della Pace, che si appellò alla Costituzione e ai numeri (allora si parlava di 3200 tonnellate di bombe prodotte ed esportate dal 2012 al 2014), quando i vari esponenti parlarono di un “vergognoso ricatto verso i lavoratori della fabbrica, che per lavorare devono produrre strumenti di morte, della comunità di Domusnovas e della Sardegna stessa”.

Le tre R: rispetto, quello delle leggi chiesto dai lavoratori, riconversione quella proposta da quasi tre anni, ricatto, quello denunciato da chi dissente da qualunque compromesso con la rinominata fabbrica della morte. La stessa consonante per tre parole differenti, che aprono scenari ideologici contrastanti, che riportano un'isola ancora divisa dall'interno, dove la guerra dei posti di lavoro resta un conflitto senza pace.