La principale caratteristica per la quale le opere di Caravaggio sono diventate così famose, si riassume e al tempo stesso s’annuncia in un solo modo: è il cono di luce che illumina l’Artista; o, per meglio dire, quello per cui quest’ultimo ha deciso di usarne dell’immenso potenziale di forza e impatto. Ma allo stesso tempo, come se ci trovassimo per caso in un gioco degli specchi, quello stesso cono di luce,se finisce per trovarsi all’opposto, diventa d’ombra e buio; proprio come succede per l’andamento della popolarità di un Artista.

Il Caravaggio punto di riferimento per la sua luce

Caravaggio fu, come da quando è tornato a essere un punto di riferimento, genio per la sua luce facendo in modo che questa assumesse grazie a lui, per la prima volta, un valore assoluto e al contempo riesce a fare in modo che diventi la vera Anima della sua pittura, arrivando a influenzare altri geni della pittura del calibro di Vermeer e Latour, due dei suoi illustri estimatori.

Il dualismo della luce, della sua presenza e del modo per come questa si manifesta, viene risolto da Caravaggio in un modo che sposa appieno la luce alla filosofia; per cui attraverso le sue opere, quando arriva da quello che circonda la scena, diviene realistica e senza alcun dubbio metafisica.

Al contrario, quando viene dall’Anima dei suoi personaggi, e in special modo quelli che possono considerarsi come i protagonisti di ogni opera, attorno ai quali si articola e si esprime l’azione di riferimento decisa dall’artista, la luce si svela essere morbida e rivelatrice; ossia in grado di portare alla luce proprio l’Anima stessa di quel personaggio.

Caravaggio e il suo percorso di luce

E' il momento nel quale per Caravaggio si deve rappresentare la luce come se stesse provenendo allo stesso tempo in entrambi i modi; a questo punto, egli prende una decisione che oggi definiremmo senza precedenti: oscura lo studio e in questo modo riesce a creare in maniera artificiosa un cono di luce il quale, direzionato, illumina un punto scelto.

Ricrea in questo modo lo stesso effetto che si ottiene quando, una volta oscurato il palcoscenico, si brandeggia la luce di un solo proiettore; spesso a beneficio di chi sia protagonista della rappresentazione o dello spettacolo, per poi seguirlo in ogni attimo dell’azione scenica.

Per questo l’unico e possibile giudizio si esprime quando la luce colpisce un volto e ne rivela il vero significato: quello di una vita colta nell’attimo supremo; quello che, da solo, ha il potere di proclamarne il valore assoluto quando appartiene a un condannato, a un morto o colga quasi in un atto estremo, il riscatto di una vita dissoluta…forse perduta. Dunque la luce per Caravaggio arriva da ovunque lui semplicemente decida che debba provenire, in una scelta totale, proprio come se di un dipinto lui ne fosse il regista e non solo l’autore; dal momento che professa una certezza: essere regista non contraddice il suo realismo autorale.

Così, secondo il dogma della realtà di Caravaggio, la luce interiore (Anima) rimane distinta da quella esteriore e allo stesso tempo, si estingue anche il significato di entrambe le origini di quella luce, così che alla fine, proprio il suo realismo è inventato anche se celebrato oggi come assoluto e appunto metafisico.

Riuscendo, dunque, in questo modo estremo, a rendere umana la stessa spiritualità fino a calarla nella carne di un corpo, di fatto Caravaggio diviene colui che, per ognuno dei suoi estimatori, è il pittore della luce: quando questa sia segno e presenza di Dio in ogni sua opera al di là della propria origine. Per tutta la vita, lui ha fatto professione di fede della massima aderenza al puro realismo: quello stesso che avrebbe voluto che il principio secondo il quale la luce era la sola risoluzione e definizione della natura umana diventasse universale.