Per la Giornata Mondiale del Rifugiato intervistiamo Elena Caracciolo, program coordinator dell’International Rescue Committee (IRC) in Italia. IRC è stata fondata nel 1933 su richiesta di Albert Einstein e ha sede a Londra e New York: è una delle più importanti organizzazioni non governative attive nelle zone di crisi umanitarie ed è presente in oltre 40 paesi del mondo.

Oggi è la Giornata Mondiale del Rifugiato. Secondo i dati delle Nazioni Unite oltre 100 milioni di persone sono attualmente in fuga da guerre e disastri naturali. Come siamo arrivati a questa situazione?

Nel complesso, 100 milioni di persone a livello globale sono state sradicate dalle proprie case a causa di conflitti e disastri naturali in paesi come Afghanistan, Siria, Yemen, Somalia ed Etiopia - un aumento impressionante del 20% rispetto al 2020.

Si tratta del più grande spostamento di popolazione che il mondo abbia mai visto dalla Seconda Guerra Mondiale, e quasi pari alle popolazioni del Regno Unito e del Canada messe insieme.

Ad oggi, sono circa 274 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria, con un aumento del 63% in soli due anni. Il numero di sfollati è raddoppiato al livello globale dal 2012 a oggi. Tuttavia, le cause di questa situazione sono complesse e molteplici.

Basta pensare che il blocco in corso delle esportazioni di grano e cereali nei porti ucraini del Mar Nero sta avendo conseguenze terribili per regioni come l'Africa orientale, già alle prese con una grave insicurezza alimentare. Senza un intervento, Paesi come la Somalia, il Kenya e l'Etiopia rischiano la carestia.

Gli stati e i cittadini fanno abbastanza per risolvere questa situazione?

Se da un lato gli effetti della violenza e del cambiamento climatico mettono a dura prova la resilienza di milioni di persone in zone di crisi, dall’altro la scarsità di solidarietà, di investimenti significativi e di aiuti pubblici allo sviluppo per gli stati fragili e colpiti da conflitti - sicuramente anche una conseguenza della crisi economica causata dal Covid-19 - hanno esacerbato le condizioni già preoccupanti.

In Etiopia, dove 8,6 milioni di persone soffrono la fame mentre l‘intera regione è sull'orlo di una catastrofica crisi alimentare, gli appelli umanitari delle Nazioni Unite rimangono finanziati per meno di un terzo.

La situazione attuale evidenzia il fallimento del sistema internazionale nell'affrontare e prevenire la sofferenza umanitaria.

Quali sono i principali paesi del mondo da dove provengono gli sfollati? E sono soprattutto rifugiati o profughi interni? L’Ucraina come ha influito su questi numeri?

La Guerra in Ucraina ha spinto il numero di persone costrette a fuggire da conflitti, violenze e persecuzioni oltre lo sconcertante traguardo dei 100 milioni, con quasi 14 milioni di persone in fuga internamente e fuori dal paese.

Più del 50% (ovvero 60 milioni) sono sfollati interni. Quasi il 70% di tutti i rifugiati e gli sfollati proviene da soli cinque paesi: la Siria, il Venezuela, l’Afghanistan, il Sud Sudan e il Myanmar.

L’Italia è uno dei paesi europei dove la crisi dei rifugiati ma anche dei migranti è stata più visibile. Tuttavia l’Italia non è a livello mondiale uno dei paesi che ospita il maggior numero di migranti. Quali sono questi paesi e perché nessuno parla di queste crisi?

Più dell’ 80% dei rifugiati in fuga dal proprio paese sono ospitati da paesi a basso e medio reddito. Tra i paesi che ospitano il più alto numero di rifugiati al mondo troviamo la Turchia, con quasi 4 milioni di rifugiati siriani, e il Pakistan, con 1.5 milioni di rifugiati Afgani.

Quindi gli allarmi lanciati dalla destra italiana - come il continuo ricorso al concetto di “invasione” fatto dal segretario della Lega Matteo Salvini - non corrispondono alla realtà?

Sappiamo benissimo che i migranti e i rifugiati sono stati per anni strumentalizzati a fini politici dalla destra italiana. È vero che in Italia abbiamo visto un aumento degli arrivi e delle richieste di asilo (si parla di quasi 896,000 richieste d’asilo registrate tra il 1990 e il 2020 - ricordiamoci anche delle oltre 24.000 persone che hanno perso la vita dal 2014 nel tentativo di attraversare il Mediterraneo), ma siamo ben lontani da una paventata invasione. Se ci fermiamo a pensare che più della metà delle persone in fuga sono sfollati interni, e che l’83% dei rifugiati fuori dal proprio paese è ospitato da paesi a basso e medio reddito, il conto è presto fatto.

Al 15 giugno 2022, in Italia sono arrivate più di 22.000 persone via mare attraverso la rotta del Mediterraneo centrale; mentre si parla di quasi 117.000 persone arrivate in fuga dall’Ucraina al 16 maggio. Certo un numero cospicuo, ma di molto inferiore rispetto alle persone accolte da Polonia, Germania, Moldavia e altri paesi della regione.

Espandendo il reinsediamento a livello europeo ma anche globale riusciamo ad alleggerire la crisi nel Mediterraneo e nei paesi che ospitano la maggior parte dei rifugiati, come la Turchia?

Ancora oggi, la maggior parte dei programmi di reinsediamento europei non è tornata alle dimensioni precedenti alla pandemia. È allarmante notare che, alla fine di aprile, dall'inizio dell'anno erano arrivati nei Paesi dell'UE solo 4.075 rifugiati reinsediati.

Oltre a permettere ai Paesi di condividere la responsabilità e alleviare la pressione sui Paesi in crisi e che ospitano il maggior numero di sfollati, i programmi di reinsediamento rappresentano una delle poche alternative per le persone in fuga dal proprio Paese di arrivare in maniera sicura e regolare. Lo sforzo comune fatto per supportare gli afgani ad agosto 2020 ne è un esempio lampante.

Poiché le esigenze di reinsediamento a livello globale continuano a crescere, l'UE deve aumentare in modo significativo il proprio impegno per il reinsediamento, a partire dalla solidarietà senza precedenti dimostrata nei confronti dei rifugiati in fuga dall'Ucraina e dagli investimenti fatti per la risposta all'emergenza.

Cosa sta facendo IRC per affrontare la situazione in Italia? I cittadini e la Politica cosa possono fare per aiutare in modo attivo?

IRC, presente in Italia dalla fine del 2017, sta rafforzando la propria presenza per avviare nuovi programmi a sostegno delle persone in arrivo dall’Ucraina e dall’Afghanistan, continuando a rispondere ai bisogni delle persone più vulnerabili, in particolare bambini, bambine, donne e ragazze, con programmi concentrati sull’orientamento e protezione dei diritti, prevenzione e risposta alla violenza, educazione, salute mentale e supporto psicosociale.

In risposta alla crisi afghana e ucraina, IRC ha esteso la propria presenza in diverse città italiane (Milano, Torino, Trieste, Roma, Palermo e Napoli) per fornire aiuti materiali, legali e psicosociali a donne e bambini vulnerabili - anche grazie ai partenariati con Centro Penc, Diaconia Valdese e Caritas Italia.

Per sostenere le persone che arrivano in Italia in cerca di protezione e stabilità e favorire un processo di inclusione positivo, tenendo un approccio non emergenziale ma uno basato sul rispetto dei diritti umani. Gli stati europei dovrebbero favorire l’arrivo di persone tramite canali sicuri e regolari, quali gli schemi di rinsediamento. I cittadini dovrebbero verificare le notizie e tenere un approccio più umano, empatico e solidale nei confronti di chi scappa dal proprio paese. Non giudicare e mettersi nei panni degli altri è la chiave.

Torniamo alla crisi in Ucraina. La guerra non ha solamente fatto aumentare il costo della vita e delle materie prime, ma sta influendo in modo grave sui bisogni umanitari, sulla fame e quindi anche sulle possibili migrazioni a livello globale.

Qual è la vostra più grande preoccupazione in questo contesto e cosa può fare l’Europa?

La più grande preoccupazione è che ci si dimentichi dei morti in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dei conflitti e crisi presenti in altri paesi nel mondo, per esempio Yemen, Siria, Myanmar, Burkina Faso ed Etiopia e dell'impatto che essi hanno sui movimenti migratori e sui bisogni umanitari. L’ondata di aiuti umanitari e di solidarietà all'Ucraina e ai suoi profughi, in Italia e in Europa, dovrebbe diventare lo standard per le vittime di altri conflitti. In questo senso è importante continuare a sensibilizzare l'opinione pubblica, investire in aiuti umanitari per i paesi in crisi e allo sviluppo negli stati fragili e colpiti da conflitti.

Il progetto di IRC Italia Signpost fornisce ai rifugiati e ai richiedenti asilo tutte le informazioni essenziali per orientarsi nel sistema legale, nel mondo del lavoro, e per evitare di essere sfruttati (come succede spesso nel settore agricolo). Parlaci meglio di questo progetto.

Quando i rifugiati e i migranti arrivano in un paese nuovo, devono capire rapidamente come soddisfare le loro esigenze di base, come l'assistenza medica e psicologica, l'assistenza legale e la documentazione, l'istruzione e l'occupazione. L'accesso a informazioni accurate e pertinenti consente loro di esercitare i propri diritti e di stare al sicuro. Refugee.Info (RI), parte di un progetto globale “Signpost”, sostenuto da partner tecnologici come Google, è un servizio di informazione interattivo, basato sui bisogni della comunità e multilingue per migranti e rifugiati in Italia.

Attraverso canali digitali accessibili (sito web, Facebook, WhatsApp) e un approccio peer-to-peer, Refugee.Info fornisce informazioni con l'obiettivo di restituire alle comunità il potere di prendere decisioni informate. Nel 2021, IRC ha raggiunto oltre 600.000 persone con i contenuti della piattaforma in Italia. Oltre all'inglese e al francese, nell'ultimo anno sono state aggiunte le lingue Dari, Pashto e Ucraino, per rispondere anche ai bisogni di rifugiati provenienti da Afghanistan e Ucraina.

Signpost quindi si occupa anche di lotta alla disinformazione. A tuo parere quali sono le principali notizie false legate ai rifugiati e richiedenti asilo che circolano in Italia? Cosa possiamo fare per evitare che questa popolazione debole sia messa ancora più in pericolo da questi falsi miti che generano odio e persecuzione?

La prima che mi viene in mente è quando si dice che vengono in Italia per fare violenza sui cittadini italiani, rubarci il lavoro (prendono i lavori meno qualificati e sicuri), o a pesare sulle casse dello stato (spesso non accedono ai servizi o ai bonus statali perché discriminati sulla base del tipo di permesso di soggiorno). Per evitare che questa situazione continui, sarebbe importante da un lato continuare a combattere la disinformazione con informazioni verificate, evitando che gli stessi politici promuovano la diffusione di fake news, e rafforzare i meccanismi di protezione. È un processo che richiede in primis la volontà, e che deve puntare a sradicare le radici di stereotipi e pregiudizi nei confronti di quello che viene identificato come diverso ed estraneo.