Prosegue il dibattito sulle cosiddette ‘post-verità’ o ‘bufale’, ovvero le bugie e false notizie pubblicate su internet. Dopo l’intervista al Financial Times, il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, ne rilascia un’altra al Corriere della Sera per confermare la sua intenzione di “estendere a internet la logica dello Stato di diritto sottoponendolo a regole di garanzia delle nostre libertà”. Prima di lui, durante il tradizionale discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva detto di voler preservare la rete “da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi”.

Anche il presidente emerito Giorgio Napolitano aveva alzato la voce contro “l’ondata mistificatrice del clic”. Matteo Renzi, dopo la rovinosa sconfitta del 4 dicembre, se la prendeva con il fu amato web perché “abbiamo lasciato la rete a chi diffonde falsità” e il ministro della Giustizia Andrea Orlando si è ripromesso di contrastare “l’odio sul web”. Contro questa visione univoca e censoria solo Beppe Grillo (seguito a ruota da Nicola Porro protagonista di un video divenuto virale) aveva avuto il coraggio di insorgere. Oggi, intervistato dal Fatto Quotidiano, Enrico Mentana motiva il suo no a censura e bavaglio sul web.

L’intervista di Mentana

“In generale sono contrario alle censure e alle sanzioni - dice il direttore del Tg di La7 al quotidiano di Marco Travaglio - non sono contrario, però, all’idea di un organismo di fact checking, ma deve valere per tutti i settori, non solo per il web”.

Mentana, insomma, è convinto che le post-verità vengano propagandate anche dai media tradizionali. Il noto giornalista boccia decisamente “l’idea di un ente pubblico” responsabile del controllo di infinite fonti di notizie, sarebbe più semplice, a suo dire, che fossero direttamente i gestori come Facebook e Google ad autoregolarsi.

Mentana, infatti, crede ancora che “il sacrosanto diritto della libertà di espressione non può essere represso, ma al massimo regolato”.

La soluzione al falso problema delle post-verità su internet (dopo che da decenni i media mainstream propalano montagne di ‘bufale’) secondo l’ex direttore del Tg5 sarebbe “l’identificazione diretta”, ovvero “l’obbligo di certificare la propria identità e quindi di essere riconoscibile”.

Insomma, per rendere più chiaro il concetto, “se si costringesse chi è sul web a essere raggiungibile ed identificabile non ci sarebbe bisogno di alcun ente censore”. Mentana non ha dubbi sulla bontà della sua proposta: “Se qualcuno volesse avvelenare i pozzi dovrebbe metterci la firma”.

Secondo la sua condivisibile analisi, “il sistema dell’informazione sta trasmigrando sul web” ed è lì che “deve trovare un nuovo equilibrio”. Poi, passa ad esaminare l’effetto delle cosiddette fake news sulle recenti elezioni americane per sfatare un falso mito propagandato proprio dai media tradizionali: “Dall’Italia era chiaro che le informazioni contro Trump fossero molto più numerose di quelle contro la Clinton.

È ridicolo oggi raccontare il contrario”. A detta di Mentana non regge il confronto tra un Barack Obama, considerato “fico perché usava i social network”, e il tycoon newyorkese accusato di aver vinto solo per merito della post truth, post-verità considerata solo come “la balla dell’altro, mentre la tua, di balla, passa come una considerazione”.