E’ passato un bel po’ da quell’8 Novembre che, nel bene o nel male, ha sorpreso il mondo. C’è chi ha considerato l’elezione di Trump una vittoria del popolo, e chi invece l’ha derubricata come una mera questione di ignoranza popolare.

E’ abbastanza disdicevole quella retorica borghese che inneggia entusiasticamente alla sovranità popolare, salvo poi metterla in discussione quando l’esito elettorale è malaccetto. Il popolo non è sovrano solo quando vota come deve, è sovrano sempre.

Semplicità è la parola chiave della politica trumpiana. In assenza di visioni, di proposte concrete, ne consegue un ripiegamento nella semplificazione: molto pericolosa nell’era della “post-verità”, quella in cui il consenso dipende sempre più da informazioni scarsamente fattuali se non addirittura false.

Le proposte di Trump non funzioneranno, questa Amministrazione servirà solamente a mostrare agli americani che per fare della buona politica non basta possedere un sistema valoriale (presunto) solido, occorrono competenze e capacità acquisite con l’esperienza.

Non esistono soluzioni semplici a problemi così complessi: non è facile gestire i flussi migratori, per cui costruire un muro (da 25 miliardi di dollari) non costituisce una valida soluzione ma una manifesta dichiarazione di incapacità.

Ma -ricordiamolo- uno come Donald Trump vince perché chi gli fa opposizione non è abbastanza forte. Occorre una presa di coscienza ferma e nitida: né la destra né la sinistra sono finora state in grado di avanzare proposte, soluzioni concrete, nuove letture della realtà.

È ovvio che questo abbia portato ad un appannamento delle alternative. Negli USA come in Europa, siamo di fronte ad un vuoto di leadership che favorisce altri attori. Quelli che oggi definiamo populismi, sulla scia dell'ondata sovranista.

Tutti i macro problemi

Le sinistre europee paiono inebetite, forse non ancora consce delle ricadute sociali ed economiche della quarta rivoluzione industriale.

Le disuguaglianze crescono sempre di più ma le sinistre se ne infischiano di queste sperequazioni. Il tema dell’uguaglianza –paradossalmente- sembra sia divenuto appannaggio esclusivo delle destre.

La tecnologia ha consentito il progresso, ma ha anche distrutto posti di lavoro. La tecnologia ha favorito la globalizzazione, ma allora come facciamo con il terrorismo?

Come possiamo conciliare i valori della società aperta con i problemi che il mondo moderno ci propina quotidianamente? Le prossime elezioni presidenziali francesi (che vedono favorita Marine Le Pen) potrebbero cambiare per sempre l’Europa, se non addirittura disintegrarla. Se il Vecchio Continente non si sveglia da questo lungo sonno è facile prevedere una situazione di significativo indebolimento.

Promesse conclamate e mai rispettate del tutto alimentano frustrazioni che stanno alla base di un cleavage drammatico, quello che contrappone il popolo alle elites. .

Sono stufi tutti, compresi i francesi. Anche se Marine Le Pen ha preso i soldi dell’Europarlamento per versarli al suo partito, la leader del Front National continua ad essere il personaggio più influente della politica francese.

I populismi sono così forti che nemmeno gli scandali giornalistici e la cattiva pubblicità possono scalfirli.

Nel frattempo la politica pare inerte, a fronte di un mondo sempre più complesso e polarizzato, spaccato a metà tra una minoranza progressivamente più ricca e una maggioranza frustrata, costretta a scegliere tra lavoro sottopagato e disoccupazione.

La globalizzazione ha prodotto l’ideologia del rifiuto, propria di quelle sub-culture non integrate: sono gli esclusi dalla globalizzazione, quelli che il “sistema” ha dimenticato di considerare. Dimenticandoli, ha garantito la vittoria della Brexit, poi quella di Trump.

Siamo dinanzi alla fase di ripiegamento della globalizzazione. Forse è arrivato il momento per la politica tradizionale di fare ammenda dei propri errori. Altrimenti rischiamo di perdere tutti, nessuno escluso.