La complicata situazione politica in catalogna non accenna a risolversi: anche oggi è stata una giornata campale nella regione, con scioperi imponenti che hanno paralizzato il territorio e Barcellona, organizzati dalle sigle regionali ad esclusione delle Comisiones Obreras e dell'Unione Generale dei Lavoratori, ovvero i sindacati più importanti. A pagare dazio di queste proteste sono stati i pendolari e viaggiatori, con il traffico stradale e ferroviario pressoché paralizzato e disagi lungo le arterie interne e che conducono fuori dalla Spagna.

I manifestanti chiedono maggiori tutele per quanto riguarda il lavoro e ovviamente la liberazione dei dieci esponenti delle istituzioni catalane detenuti da Madrid (tra di essi figurano otto ministri dell'esecutivo Puigdemont, il quale dal suo esilio in Belgio - assieme ad altri quattro membri del suo governo - definisce lo Stato centrale spagnolo "fascista") e i leader dell'associazionismo e del sindacato. Maggiori disagi a Girona, con momenti di tensione per via dell'iniziativa dei manifestanti di bloccare le linee ferroviarie.

La proposta del Ministro degli Esteri che potrebbe spiazzare i catalani

La Catalogna insomma è ancora lontana da trovare una ricomposizione con Madrid, ma forse si sta aprendo qualche spiraglio, seppure con dei paletti che probabilmente Barcellona riterrà inaccetabili.

La notizia del giorno infatti è che il Ministro degli Esteri dell'esecutivo Rajoy, Alfonso Dastis, in una intervista concessa alla BBC ha aperto sulla possibilità di poter modificare la Costituzione spagnola per permettere in un eventuale futuro dei referendum sull'indipendenza proposti dalle regioni. Nessun automatismo però: considerando il fatto che si parla di emendare la carta fondamentale dello Stato, nel caso questa ipotesi avanzata da Dastis divenga realtà dovranno essere chiamati ad esprimersi in merito gli spagnoli di tutto il Regno.

Se in Catalogna, in base agli ultimi sondaggi di fine ottobre scorso, c'è stato un aumento dei favorevoli all'indipendenza del 7,6% raggiungendo quota 48,7% dei catalani propensi a distaccarsi da Madrid, per gli spagnoli questa possibilità rappresenta la seconda preoccupazione dietro il lavoro per il 29% di essi. Sullo sfondo il rischio che gli indipendenti possano vincere le elezioni di dicembre, rinvigoriti dalla raffica di arresti disposti da un Rajoy che teme di non poter controllare la crisi, nonostante l'applicazione dell'articolo 155 sia andata a buon fine, con il commissariamento della regione che non ha sortito rivolte estreme o ribellioni da parte dei funzionari pubblici.

La preoccupazione di un rimedio elettorale peggiore del male indipendentista potrebbe quindi giustificare le parole del capo della diplomazia (che si è pure detto dispiaciuto per i cittadini feriti negli scontri il giorno delle votazioni per l'indipendenza) di aprire un pertugio minimo di fronte alle richieste degli irredentisti catalani. Ma il parere di 47 milioni di spagnoli potrebbe essere un rischio per entrambe le parti: per Barcellona che potrebbe subire il definitivo chiodo sulla bara sulle sue rivendicazioni e per Madrid per la quale la chiamata alle urne può diventare un boomerang contro l'unionismo (la Brexit insegna). Per ora, la proposta del governo Rajoy sa più di ballon d'essai per stanare e cercare di mettere alle corde gli indipendentisti che di un progetto realizzabile nell'immediato.