Prendiamo, come spunto per una riflessione sullo Yemen, la notizia diffusa dall’Ansa di un raid saudita in Yemen, che ha causato la morte di almeno ventisei persone. Che cosa ha spinto la principale monarchia del Golfo a intervenire in uno scenario così difficile?
Cenni storici
Lo Yemen, sin dalla dissoluzione dell’impero Ottomano, fu diviso in due parti: Nord e Sud. Il Nord, indipendente dal 1918, fu guidato da una serie di Imam (a tutti gli effetti dei sovrani) sino al 1958. Anno in cui partecipò, insieme all’Egitto e alla Siria, all’esperienza della Repubblica Araba Unita che si concluse nel 1961.
Nel 1962 un colpo di stato guidato dai militari e supportato dall’Egitto, depose l’Imam e proclamò la repubblica. La risposta reazionaria dei monarchici sancì l’inizio di una nuova guerra civile, che vide contrapposti l’Egitto Nasseriano (a supporto della repubblica) e i sauditi (in difesa dei monarchici). Il conflitto ebbe fine nel 1967, con il ritiro delle truppe egiziane. Nel frattempo, nello Yemen del Sud (che era rimasto protettorato britannico fino al 1967) si impose l’unico regime comunista del mondo arabo. Nel 1972 iniziarono i primi colloqui per la riunificazione che continuarono, con alterne vicende, sino al 1990. Nel 1994, l’ex-nomenklatura del Sud tentò un colpo di Stato che venne represso.
Dai primi anni 2000 è in corso la rivolta degli Huthi (un gruppo armato prevalentemente sciita zaydita), che combattono per l’indipendenza del Nord. La situazione, dopo diversi alti e bassi, è peggiorata nel 2011 con l’intensificarsi della rivolta che ha portato gli Huthi a prendere il controllo del Nord.
Intervento Saudita
Il 25 marzo 2015, per fermare l'avanzata degli Huthi e nel tentativo di riportare al potere ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī, l’Arabia Saudita decide di colpire le postazioni Huthi nella più imponente azione bellica mai effettuata dal Regno.
Con il forte sostegno dei paesi del Golfo, dell’Egitto, del Sudan e del Marocco, una forza composta da 150.000 uomini delle forze di terra e da 100 aerei dell'aeronautica militare dell'Arabia Saudita, distrugge le scarse attrezzature militari degli insorti sciiti e acquisisce il totale controllo degli spazi aerei yemeniti. Purtroppo, il solo controllo delle vie aeree non permette alla monarchia del golfo una rapida vittoria, poiché l’Iran riesce ancora a rifornire i suoi alleati Huthi.
Il paese sunnita si ritrova impantanato in un conflitto senza fine che potrebbe diventare il Vietnam saudita.
Motivi dell’intervento saudita
La monarchia saudita dichiara di essere intervenuta in Yemen per difendere i propri confini dai continui sconfinamenti dei ribelli Huthi. Contrariamente alle aspettative, con l’intervento gli sconfinamenti sono continuati e anzi la situazione al confine è peggiorata, dimostrando l’incapacità dell’esercito sunnita nel settore della counter-insurgency (l'approccio utilizzato nei conflitti non convenzionali da un esercito regolare contro una formazione irregolare, che utilizza metodi di guerra asimmetrica come la guerriglia e l'insurrezione). L’intervento va visto in un’ottica più generale di limitazione della sfera di influenza iraniana.
Gli Huthi sono di fede sciita e quindi supportati dal paese khomeinista. La guerra dello Yemen è, a tutti gli effetti, una proxy war (conflitto tra due Stati, senza che ci sia un confronto diretto tra i due) tra il leader dei paesi Sunniti e l’unico grande Stato a maggioranza sciita.
Il raid del 1 novembre
Per tornare al raid citato in apertura, le fonti affermano che la coalizione abbia sganciato delle bombe su un mercato che si trovava nella provincia settentrionale di Saada, in mano agli Huthi, uccidendo 26 civili e causando decine di feriti. Nel più classico dei cliché, le autorità competenti si sono rifiutate di fornire ulteriori dettagli. Lo sgancio di bombe su luoghi civili è una tattica che la coalizione saudita ha appreso dagli americani e dai raid con i droni dell’era Obama.
Questa regola d’ingaggio, che si basa su informazioni reperite dall’intelligence, tenta di eliminare figure di spicco appena se ne presenta l’occasione. Spesso questo tipo di raid indiscriminati non sortiscono l’effetto voluto, ma causano delle ripercussioni sulla popolazione civile, tendendo ad aggravare una già difficile situazione sul terreno. Quello che si rischia di creare in Yemen è un nuovo stato fallito, sulla falsariga di Somalia e Siria, la prima è la culla di criminalità e pirateria mentre la seconda ha dato i natali allo Stato Islamico. Se lo Yemen dovesse fallire, a pagarne le conseguenze sarebbero direttamente i sauditi, i quali hanno già gravi problemi con le incursioni Huthi oltre il confine.