Ieri a Napoli durante una riunione in prefettura su ordine pubblico e sicurezza, il ministro dell'interno Marco minniti è tornato a esprimersi sui temi della violenza giovanile e del cosiddetto fenomeno delle "baby gang". In seguito all'aggressione del giovane Arturo e ad altri fatti recenti, si è ritenuto necessario un ulteriore incremento di 100 unità di polizia, provenienti dai reparti speciali, per poter in qualche modo arginare il problema. Questa la decisione presa a conclusione del meeting, rispetto cui si precisa che tali unità saranno impiegate nelle zone frequentate dai giovani per trasmettere "un senso di tranquillità".

Un'affermazione, quella del ministro, che lascia pensare a specifici luoghi del panorama giovanile napoletano - come i quartieri Chiaia-Posillipo, Vomero e il Centro storico - come possibili siti di presidio.

Questa "emergenza baby gang" si andrebbe in un certo senso a sovrapporre a un altro tipo di fenomeno, particolarmente dibattuto negli ultimi tempi, indicato dai media come "movida violenta" e che interessa proprio i luoghi in cui maggiormente si è spesa in termini politici l'amministrazione comunale, visti i recenti flussi turistici. Difficile pensare, però, che la violenza giovanile e il suo background di multiproblematicità sociali da cui deriva possa essere risolto con un aumento degli agenti repressivi e di controllo e il ministro sembra, almeno a parole, saperlo, tenendo a ribadire che la soluzione non viene solo da un approccio coercitivo al fenomeno, ma anche da politiche educative che partano dalla scuola.

C'è la necessità, però, di entrare nel merito delle misure adottate o che si adotteranno. In primo luogo, l'arrivo di nuove forze dell'ordine si inserirà in un contesto cittadino già fortemente militarizzato e continuerebbe ad alimentare una logica per cui alla richiesta di "più sicurezza" da parte dell'opinione pubblica, la prima e immediata risposta è l'invio di un contingente di militari, senza destinare risorse all'inchiesta e all'analisi sociale che indaghi le origini di questi fenomeni e che sostenga la produzione di politiche pubbliche.

Nessuna menzione a tutte le realtà associative territoriali che quasi sempre attraverso il lavoro volontario, oltre al recupero di bambini e adolescenti, operano una vera e propria prevenzione del cosiddetto micro-crimine. In secondo luogo, un maggiore rapporto tra la prefettura e i dirigenti scolastici, così come auspicato dal ministro, rischierebbe di militarizzare, in un certo senso, anche l'ambiente scolastico che, al contrario, dovrebbe rappresentare un luogo privilegiato di indagine e di sostegno delle situazioni più a rischio.

Il ministro ha poi parlato di "metodi terroristici" usati da queste baby gang, per la loro imprevidibilità nel colpire a caso i malcapitati di turno. Sembra superfluo sottolineare quanto un simile approccio tenda sostanzialmente a considerare "tutto terrorismo", cavalcando un'onda della paura paradossalmente alimentata dalle politiche di sicurezza applicate in tutta Europa e rendendo sempre più torbida la ricerca dei fattori sociali alla base di questi fenomeni.

Senza un programma di politiche preventive che guardi alle mancanze educative, economiche, ambientali che generano questi episodi e che riguardano migliaia di giovani napoletani, se non si parla di lavoro e disoccupazione giovanile, prospettive e opportunità formative, se le risorse a disposizione vengono destinate principalmente alla coercizione, si farà solo il gioco del cane che rincorre la propria coda.