I futuri candidati degli opposti schieramenti politici da oggi dovranno fare ancora più attenzione a quello che promettono durante la campagna elettorale. E non solo perché il prossimo 4 marzo 2018 potrebbero vincere o perdere le elezioni. Ma perché potrebbero essere insultati pubblicamente senza poter difendere la propria reputazione nelle sedi giudiziarie opportune.
È questo il risultato di una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il diritto di critica politica, che è possibile manifestare anche per mezzo dell'affissione di manifesti denigratori nei confronti del malcapitato di turno.
Vediamo, quindi, di capire su che genere di basi giuridiche il Supremo Collegio ha fondato la sua decisione.
I fatti alla base del giudizio della Corte
Gli Ermellini si sono trovati a dover dirimere una controversia che ha visto contrapposti un gruppo di consiglieri comunali di opposizione e l'ex sindaco del Comune di Furci Siculo, Bruno Antonio Parisi. Il gruppo di consiglieri, infatti, aveva affisso lungo le vie del centro del Comune della Provincia di Messina dei manifesti che definivano il Parisi 'bugiardo, ipocrita, falso e malvagio'. Questo in quanto aveva promesso di cancellare l'indennità di funzione che, invece, aveva provveduto a far deliberare e approvare.
Il gruppo di consiglieri era stato condannato al risarcimento del danno da diffamazione nei confronti dell'ex Sindaco Parisi in sede di primo grado dal Tribunale di Messina.
Ma, successivamente il gruppo era stato assolto in secondo grado dalla Corte d'Appello di Messina. Di conseguenza, il Parisi presentava ricorso in Cassazione per veder riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da diffamazione.
La motivazione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'ex Sindaco e confermato il giudizio di assoluzione formulato dai giudici d'Appello in quanto gli epiteti rivolti al Parisi, benché senza dubbio offensivi, erano strettamente attinenti e legati alle vicende politiche che contrapponevano il gruppo consiliare d'opposizione al Sindaco in merito all'erogazione dell'indennità di funzione, alla quale lo stesso in campagna elettorale aveva dichiarato espressamente di rinunciare.
Di conseguenza, continua il Giudice di legittimità nella sentenza n°317, depositata oggi, l'attacco nei confronti del Parisi era motivato esclusivamente dalle sue scelte politiche e amministrative e da quelle della maggioranza che lo sosteneva. Quindi, non c'era, secondo il Supremo Collegio, la volontà di ledere la sua dignità morale o intellettuale.