A poco più di due settimane dalle elezioni politiche il M5S è tornato nell’occhio del ciclone. L’inchiesta de Le Iene non poteva che sollevare un polverone notevole, regalando un po’ di ossigeno a tutti gli altri partiti che guardano al 4 marzo con una certa ansia. Luigi Di Maio ha affrontato di petto la prima crisi politica interna da candidato premier, dimostrando una risolutezza inedita che forse era mancata in passato. Dopo aver verificato l’entità dei singoli bonifici versati sul fondo destinato alle piccole e medie imprese al Mef, è emerso il nome degli otto furbetti: Emanuele Cozzolino, Silvia Benedetti, Andrea Cecconi, Elisa Bulgarelli, Carlo Martelli, Maurizio Buccarella, Girolamo Pisano e Ivan Della Valle.
Quest’ultimo, con 270mila euro non restituiti, ha battuto tutti. Per loro l’esperienza nel M5S finisce qui: nonostante non abbiano infranto alcune legge (è bene ricordarlo) sono colpevoli di aver violato il codice interno tassativo sulle restituzioni che, in questi anni, è stato uno dei principali motivi d’orgoglio. Di Maio, come già detto, ci ha messo la faccia. Eppure il terremoto politico qualche danno l’ha procurato in primis per la vecchia autocelebrazione a Movimento dell’onestà rispetto ai partiti tradizionali. Su questo aspetto gli attacchi sono piovuti a grappoli, come era naturale che fosse, con il Partito Democratico a guidare le fila degli indignati.
Cavalcare l’onda
Il segretario dei democratici, Matteo Renzi, ci è andato giù duro.
Dopo aver accostato Di Maio a “Craxi con il mariuolo Mario Chiesa” (dichiarazione poi ritrattata), ha rispedito al mittente le etichette di impresentabili più volte sollevata dall’avversario. Provando a cavalcare l’onda della delusione dell’elettorato, Renzi ha cercato di normalizzare il M5S sottolineandone la sua trasformazione in partito nudo e puro.
C’è una cosa però che l’ex premier non ha considerato nella sua strategia d’attacco: rimborsopoli nasce da un’iniziativa individuale che nulla ha a che fare con condotte illegali dai risvolti penali. Tanto è vero che appena il clima è tornato sereno dopo la denuncia degli otto furbetti, Di Maio ha potuto a sbandierare ai quattro venti la restituzione di quasi 23 milioni di euro nell’ultima legislatura.
Un risultato importante che, come annunciato dallo stesso candidato a Palazzo Chigi, diverrà la bandiera da sventolare vigorosamente in queste ultime settimane infuocate di campagna elettorale. “Questa storia si trasformerà in un boomerang per gli altri partiti” ha spiegato Di Maio nell’annunciare la cosiddetta settimana dell’orgoglio M5S: “Chiedo a tutti coloro che si sono distinti per donazioni di esibire per l’Italia i propri bonifici”.
Effetti imprevedibili
A dare credito all’ottimismo di Di Maio lo scandalo emerso nella serata di ieri che ha travolto un esponente di spicco del PD ligure capolista in Senato alle prossime elezioni, Vito Vattuone, al quale sono state contestate spese non istituzionali per circa settemila euro.
“Non è che ha donato poco - ha malignamente commentato il candidato M5S - secondo l’accusa pare che si sia messo proprio in tasca i soldi dei cittadini”. Il faccia a faccia senza esclusioni di colpi tra Di Maio e Renzi, insomma, è destinato a proseguire e ad arricchirsi di nuovi elementi. Il segretario dei dem ha sfidato nuovamente l’avversario a un duello televisivo o a un dibattito pubblico all’americana: “Accetti la sfida o revochi anche questa come fosse un bonifico qualsiasi?”. Nonostante l’ironia di Renzi, secondo i principali sondaggisti, il rimborsopoli potrebbe tramutarsi in una vera e propria arma vincente per il M5S. Alessandra Ghisleri, interpallata dall’Huffington Post Italia, ha spiegato che lo scandalo potrebbe portare solo ripercussioni positive per Di Maio: “Grazie a questa storia più gente ha saputo che fanno le donazioni, hanno donato venti milioni e ne manca uno”. “Questo caso - ha poi aggiunto - sta diventando una pubblicità incredibile ai loro versamenti”.