In Italia, nella seconda Repubblica (dal 1992, anno di Tangentopoli) siamo stati abituati ad avere in parlamento due schieramenti contrapposti, quello di centro-sinistra a guida Pd (prima PDS-DS) e quello di centro-destra, coagulato attorno a Forza Italia di Berlusconi. Ma oggi non è più così.

I risultati delle elezioni del 4 marzo hanno visto delinearsi un sistema tripolare

  • il Movimento 5 Stelle primo partito con il 32% dei voti;
  • la coalizione di centro-destra che ha totalizzato il 36% ma da dividere tra le sue componenti, Forza Italia 14%, Fratelli d’Italia 4,3% e soprattutto Lega che ha quadruplicato i consensi rispetto alle ultime elezioni politiche del 2013, dal 4% al 17%;
  • Il Partito Democratico, grande sconfitto delle elezioni, che si è fermato solo al 18%, dopo essere arrivato al 40% alle europee del 2014. Il peggior risultato del centro-sinistra dal 1992 col PDS di Achille Occhetto nato dallo scioglimento del PCI, che però era "affiancato" da Rifondazione Comunista all’8% e in qualche modo dai Socialisti di Bettino Craxi al 13%.

In questa situazione, la formazione di una maggioranza in Parlamento sarà tutt’altro che scontata e chiunque vorrà governare avrà bisogno dei voti di almeno due dei tre blocchi elencati sopra.

In Italia infatti, il governo non “viene eletto” ma nominato dal Presidente della Repubblica e deve ricevere la fiducia dal Parlamento; perciò ad esempio quando si sente dire che il governo Renzi è stato il quarto "governo non eletto" dal popolo si tratta di una fake-news.

In questo contesto di tripolarismo, il PD, nonostante sia uscito sconfitto dalle urne, potrebbe essere l’ago della bilancia della prossima legislatura. Per questo può essere utile conoscerne dinamiche e faide interne.

Un breve riepilogo

In questi anni Renzi ha dettato la linea del PD in modo assertivo, escludendo spesso le correnti in disaccordo con la retorica della “rottamazione”, metodo che ha portato all’uscita delle correnti di Bersani e D’Alema, e componendo le liste elettorali probabilmente più in base alla fedeltà al leader che ad altri criteri.

Il disastro delle elezioni ha dato alle fronde interne al PD l’occasione per una resa dei conti. Renzi è stato forzato a dimettersi dalla carica di segretario ma molti fattori lasciano presagire che non vorrà lasciare la presa sul partito: nella newsletter che manda ai suoi elettori ha scritto: “Io non mollo. Mi dimetto da segretario del PD come è giusto fare dopo una sconfitta.

Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri”.

La sua linea è quella di stare all’opposizione a questo giro e potrebbe usare le molte truppe che ancora controlla in parlamento.

Le posizioni interne al PD

Al posto di Renzi per ora è subentrato Maurizio Martina, ex Ministro dell’Agricoltura dell’area renziana, con l’incarico di reggente.

Nel suo primo discorso da reggente, ha promesso che guiderà il partito in questa fase delicata con collegialità ma ha anche indicato al partito la strada dell’opposizione in accordo col pensiero di Renzi.

Prima delle elezioni si vociferava negli ambienti europei sulla possibile alleanza tra il movimento del presidente francese Macron en Marche!, il partito spagnolo di centro Ciudadanos, e il PD di Renzi (che dovrebbe quindi allontanarsi dalla famiglia dei socialisti europei) in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Dietro la linea dell’opposizione al governo col M5S potrebbe esserci forse questo disegno.

Il pugliese Michele Emiliano, sfidante di Renzi alle scorse primarie, sarebbe invece in favore di un governo tra 5 Stelle e PD che avrebbe il pregio di escludere la Lega dalle leve del potere, ritenuta il vero pericolo per il paese.

Saranno decisivi in un senso o nell’altro gli orientamenti di Franceschini, Del Rio, Orlando e Cuperlo e delle loro correnti, dimostratesi sensibili agli appelli alla responsabilità del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sia Del Rio che Cuperlo si sono dichiarati disponibili alla nascita di un governo di scopo per cambiare almeno la legge elettorale, fondamentale per produrre una classe dirigente adeguata.