Un tempo, tutti volevano essere come lui. Matteo Renzi era giovane, fresco, carismatico, aveva in mano il potere di uno dei Paesi più forte dell’Europa. Era un modello politico da invidiare. Ma sono bastate poche (o tante?) mosse sbagliate per finire dall’altra parte della sponda. In un’intervista pubblicata oggi sul Corriere della sera, l’ex presidente del Consiglio ha dichiarato chiuso il ciclo come segretario del Partito Democratico. “Sono stati quattro anni difficili ma belli – ha detto ad Aldo Cazzullo -. Abbiamo fatto uscire l'Italia dalla crisi.

Quando finirà la campagna di odio tanti riconosceranno i risultati”. Più che una previsione, quello di Renzi sembra essere un augurio. Ha detto però che non ho rimpianti né rancori, nonostante tutti le difficoltà.

Con il Pd all’opposizione

Sullo stato dell’arte, ha detto che il centrosinistra non andrà al governo con il Movimento 5 Stelle. Renzi è convinto che il Pd andrà all’opposizione. Insiste che il Movimento 5 Stelle sono un partito con un’esperienza e valori completamente diversa da quelli del Pd: dai vaccini fino al concetto di Europa, per cui sarebbe impossibile lavorare insieme. “Abbiamo detto che non avremmo mai fatto il governo con gli estremisti, e per noi sono estremisti sia i 5 Stelle che la Lega.

L'unico modo che hanno per fare un governo è mettersi insieme, se vogliono […] Siamo purtroppo il quarto gruppo parlamentare, non più il primo. Gli appelli alla responsabilità in queste ore sono sempre utili, ma si rivolgono soprattutto ai gruppi più grandi”.

Una riflessione collettiva

In contemporanea alle dimissioni di Renzi arrivano anche diverse riflessioni sulle mosse e il futuro del Pd.

Il ministro Anna Finocchiaro ha scritto sull’Huffington Post un articolo nel quale invita ad una meditazione collettiva per capire il perché della sconfitta elettorale. Finocchiaro ammette che i partiti non riescono ad essere più effettivi e non rappresentano più alla società: “È difficile ritrovare quel tratto unificante che, ad esempio, tradizionalmente aveva fatto del più grande partito della sinistra il partito del lavoro".

Inoltre, il ministro ha riconosciuto che il Pd non è più il partito dei lavoratori. Che si è voluto contribuire allo sviluppo del Paese, seguendo la crescita e le regole europee, ma non ha funzionato. Semplicemente perché il Pd non ha parlato agli elettori, che hanno preferito il discorso del Movimento 5 Stelle. Non si è parlato agli elettori del Sud, soprattutto giovani, che hanno preferito votare il partito guidato da Luigi Di Maio.

L’analisi di Giuseppe Sala

Intanto, anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha approfittato per fare il punto sugli errori di Renzi. Durante la presentazione del suo libro alla fiera Tempo di Libri, Sala ha detto che il più grande difetto dell’ex premier è l’essersi circondato di poche persone e non aver saputo allargarsi: “Il momento più basso penso sia stata la conferenza stampa post elezioni: avrebbe dovuto farsi da parte, invece, ha deciso di fare un braccio di ferro con il Pd, parlando di inciuci”.

Un altro errore del segretario del Pd è stato, secondo Sala, avere nominato Maria Elena Boschi sottosegretaria alla Pcm dopo il fallimento del referendum costituzionale: “Non ho nulla contro Maria Elena Boschi, ha dimostrato di essere una persona solida. Ma non si può pensare nominarla alla Pcm dopo il fallimento del referendum costituzionale”. Sala si augura che Renzi prenda un tempo di riflessione, e non faccia subito un suo partito. Il sindaco di Milano ha detto di non essere disponibile per incarichi nel Pd.