Se fosse un attaccante, Luigi Di Maio sarebbe uno di quelli estrosi. Immaginate che prenda palla sulla trequarti, eviti in dribbling tre o quattro avversari, metta a sedere anche il portiere, ma fallisca clamorosamente il gol a porta vuota. Matteo Salvini potrebbe essere invece uno di quei medianacci infaticabili, ma talvolta molto fallosi: se deve entrare a piedi uniti, il segretario della Lega non ci pensa due volte, però sa anche essere il motore di una squadra. Matteo Renzi, la promessa mancata: il talento che ha deliziato le platee per un paio di stagioni e poi si è perso.

Silvio Berlusconi è la vecchia gloria sul viale del tramonto che non vuole arrendersi all'evidenza: continua a scendere in campo, ma è solo l'ombra del grande campione dei decenni passati. Però, visto che l'attaccante fallisce a porta vuota e che gli ultimi due sono in crisi più o meno irreversibile, non possiamo pretendere i gol dal mediano. L'hanno chiamata la Terza Repubblica, ma in questa variopinta squadra politica nessuno è in grado di essere realmente un vincente.

Le vittorie di Pirro

Passata la sbornia elettorale, dobbiamo arrenderci all'evidenza. L'Italia non ha una maggioranza di governo e ciò che viene detto e scritto da mesi oggi è realtà. Le Elezioni politiche del 2018 hanno due vincitori: il Movimento 5 Stelle e la Lega.

I grillini si confermano la prima forza politica italiana in maniera schiacciante, mentre il Carroccio è diventato il traino di un centrodestra che si conferma la prima coalizione. Secondo Matteo Salvini, nessuno avrebbe pronosticato un risultato del genere per il suo partito. In realtà noi avevamo intuito che Forza Italia non avesse margini di crescita rispetto a quanto le veniva attribuito dai sondaggi, al contrario della Lega.

Ma non basta, nessuno ha i numeri per governare e quelle larghe intese che, ancora oggi, più o meno tutti rigettano come la peste restano l'unica soluzione per dare un governo al Paese. Le vittorie di Pirro non servono a nessuno.

I numeri di Camera e Senato

Il leitmotiv politico che ha accompagnato il famigerato Rosatellum era quello di un possibile 'inciucio' post-voto tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi: oggi sappiamo che PD e Forza Italia non hanno questa possibilità perché non hanno abbastanza seggi.

Ricapitolando i risultati incontrovertibili delle urne: al Senato il centrodestra conta 135 seggi, il M5S 113, il centrosinistra 59, Liberi e Uguali 5, per avere la maggioranza ne servono 158. Alla Camera il centrodestra ha 267 seggi, il M5S 228, il centrosinistra 118, Liberi e Uguali 14, ne occorrono 316.

Le alleanze impossibili

Luigi Di Maio studia da premier da parecchi mesi e c'è da dire che ha superato brillantemente il primo esame. Forte del suo ruolo di leader della prima forza politica del Paese e consapevole della mancanza del 'numero magico', ha aperto al confronto con tutte le forze politiche. In questo si è dimostrato lungimirante, il suo mantra 'governeremo con chi ci sta' è di vecchia data.

Il problema è che nessuno sembra starci e chi ci potrebbe stare non è proponibile. Liberi e Uguali ha una manciata di parlamentari e non è di nessuna utilità. Qualcuno ha prospettato l'apertura del dialogo con il PD, soprattutto dopo la spugna gettata da Renzi. Ma prima di annunciare la sua decisione di lasciare la segreteria, l'ex premier ha annunciato che "il PD sarà una forza d'opposizione, coerentemente con ciò che gli italiani hanno deciso". Inoltre, in un secondo momento ha deciso di 'congelare' le dimissioni fino alla formazione del nuovo governo e, pertanto, sarà lui a condurre le danze ai vertici dem in quelli che saranno i confronti con gli altri partiti. Se qualcuno poteva intravedere nella sua uscita di scena un possibile spiraglio per un'intesa M5S-PD, al contrario la sua presenza chiude tutte le porte.

Guardando sul altri versanti, logica vuole che un’intesa M5S-Lega porti una maggioranza stabile e duratura, ma l'incontro tra Salvini e Berlusconi sembra lasciare pochi dubbi: il centrodestra è la prima coalizione e tenterà di giocare le sue carte per formare un governo. Matteo Salvini è il candidato premier, così come pattuito, perché ha preso più voti. Teoricamente ha meno strada verso Palazzo Chigi rispetto a Di Maio, ma non riusciamo ad intravedere in che modo possa racimolare i parlamentari che gli mancano.

La nomina dei presidenti di Camera e Senato

Il primo passo del nuovo parlamento sarà la nomina dei presidenti di Camera e Senato. Si tratta di un severo banco di prova per testare se, in questo organo legislativo mosaico, è possibile una forma di dialogo.

Di Maio si dichiara possibilista, sbandierando l'intenzione di trovare un'intesa sulle nomine per gli scranni più alti di entrambe le Camere. Se ci fosse davvero l'auspicato accordo in tal senso, si potrebbe trarre certamente uno spunto positivo, forse un'indicazione, su ciò che accadrà nelle consultazioni del Capo dello Stato. Di questo avviso è lo stesso Presidente della Repubblica: secondo fonti vicine al Quirinale, infatti, Sergio Mattarella inizierà i 'negoziati' alla fine di marzo, dopo la nomina dei presidenti dei due rami del parlamento.

L'assenza di un nuovo governo non fermerà l'economia del Paese

Più di un economista sostiene che la 'vacatio' di governo potrebbe non essere un toccasana per gli asset italiani, ma gli esempi recenti in ambito UE (il Belgio nel 2010, la Spagna nel 2015 e l'Olanda lo scorso anno) fanno ben sperare.

Alla fine l'economia globalizzata dei nostri tempi è assolutamente slegata dal potere politico nazionale e l'Italia avrà comunque un governo. Non è da escludere, infatti, alla luce di ciò che è stato determinato dal voto del 4 marzo, che Mattarella decida di prorogare 'sine die' la permanenza dell'esecutivo di Paolo Gentiloni, fino alla data delle prossime elezioni. Insomma, ci sarebbe comunque qualcuno che svolge l'ordinaria amministrazione.

L'utilità della Riforma Boschi

Una considerazione a margine di questa analisi. Ci riallacciamo alle parole di Matteo Renzi in conferenza stampa. Il segretario del PD ha fatto riferimento al famoso Referendum Costituzionale, sottolineando come coloro che oggi sono la prima coalizione ed il primo partito del Paese abbiamo commesso "un grave errore" nel bloccare la Riforma Boschi. Siamo stati spesso in disaccordo con l'ex rottamatore, ma in questo caso ci sentiamo di quotarlo: senza il tradizionale bicameralismo, oggi il Paese avrebbe un governo.