I livelli di colesterolo nel sangue dipendono da diversi fattori. Una parte del colesterolo è di origine endogena, cioè sintetizzato dal fegato, mentre un’altra parte viene introdotta con il cibo. Alcuni ricercatori iraniani hanno voluto studiare sui ratti, in laboratorio, gli effetti di un’attività fisica sui livelli di colesterolo, anche in presenza di una dieta ricca di grassi. Lo studio ha dimostrato che una dieta ricca di grassi generava negli animali un’alterazione del loro equilibrio ossidativo. In pratica, si riducevano gli antiossidanti e il glutatione e aumentava la concentrazione dei ROS (reactive oxygen species), responsabile di danni a proteine, lipidi e acidi nucleici.

Questa alterata condizione favoriva l’obesità e la cosiddetta sindrome metabolica, mentre una regolare attività fisica riusciva ad antagonizzare questi effetti. Anche nei ratti.

Colesterolo “cattivo”, colesterolo “buono” ed esercizio fisico

Chimicamente, il colesterolo è solo uno. Quello che lo rende “cattivo” o “buono” solo le lipoproteine a cui è legato per essere distribuito alle cellule adipose attraverso il circolo sanguigno. Queste lipoproteine sono di tre tipi, a seconda della loro densità, che può essere molto bassa (VLDL), bassa (LDL) o elevata (HDL). Il colesterolo legato alle HDL è detto “buono” mentre negli altri casi è considerato “cattivo” perché si deposita sulle pareti dei vasi sanguigni (aterosclerosi) causandone un restringimento che poi porta ad attacchi cardiaci e ictus.

Le HDL invece si occupano di raccogliere il colesterolo legato alle LDL e riportarlo al fegato. Con evidenti effetti positivi. Per questo viene detto “buono”, perché previene gli effetti negativi delle LDL e VLDL. Ultima nota, visto che il colesterolo è prodotto nel fegato, si trova solo nei prodotti animali e non in quelli vegetali.

E’ ormai dimostrato che un’attività fisica promuove un aumento dei livelli ematici di HDL. I primi effetti si osservano già con 10 minuti di attività fisica al giorno (HDL aumentano di 1,4 mg/dL) e, prolungando l’attività, si arriva ad un aumento di colesterolo buono del 4,6%. Il meccanismo biologico che regola tutto questo non è stato ancora del tutto chiarito anche se ci sono molte ipotesi.

Gli animali come modello

Gli animali sono considerati un ottimo modello per studiare quello che poi viene osservato anche nell’uomo. Alcuni ricercatori iraniani (S. R. Emami e coll.) hanno recentemente pubblicato, su The Journal of Exercise Nutrition & Biochemistry (JENB), i risultati di uno studio finalizzato a monitorare l’effetto di un esercizio fisico sul metabolismo degli animali, in presenza di una dieta ricca di grassi.

Ventotto ratti maschi, divisi casualmente in 4 gruppi (dieta standard, con e senza attività fisica; dieta grassa, con e senza attività fisica) sono stati collocati su una specie di tapis roulant, attivata per pochi minuti al giorno, per 8 settimane. Alla fine sono stati fatti dei prelievi di sangue per analizzare i parametri ematici, biochimici e i biomarcatori dello stress ossidativo.

I risultati dello studio hanno mostrato che, nonostante la dieta grassa, questa minima attività fisica, per otto settimane, sia riuscita a ridurre il peso corporeo, la quantità di tessuto adiposo con conseguente riduzione della glicemia e di alcuni ormoni come la leptina, un ormone che regola il senso di sazietà.

Nel lavoro, sono riportati una serie di dati biochimici, come l’attività di alcuni enzimi, tipo superossido dismutasi (SOD), glutatione S-transferasi, aspartato transaminasi, alanina transaminasi, lattato deidrogenasi, oltre ai livelli plasmatici di glutatione, colesterolo totale, trigliceridi, LDL, HDL, ecc. Questi dati hanno dimostrato inequivocabilmente, almeno in questo modello animale, come un’attività fisica generi una serie di modifiche che vanno ad antagonizzare gli effetti della sindrome metabolica.