Stando a uno studio condotto dall'Università della California di Los Angeles (UCLA) consumare abitualmente dell'uva avrebbe un effetto preventivo nei confronti dell'Alzheimer.

I ricercatori sono arrivati a queste conclusioni prendendo in esame un gruppo di 10 pazienti affetti da un lieve decadimento della memoria. Gli autori della ricerca hanno studiato in che modo l'integrazione della dieta con dell'uva possa svolgere un effetto preventivo e protettivo nei confronti di questa malattia neurodegenerativa.

I 10 pazienti a cui per sei mesi sono stati somministrati o un concentrato di uva in polvere o un placebo sono stati divisi in due gruppi.

Al primo è stata somministrata della polvere di uva equivalente a circa due tazze al giorno, al secondo invece è stato fornito un placebo dal sapore simile all'uva, ma privo dei polifenoli, composti anti-ossidanti al centro della ricerca.

Dal confronto tra i due gruppi è emerso che i pazienti che avevano assunto dell'uva mostravano dei cambiamenti positivi per quanto riguarda il metabolismo cerebrale. In particolare presentavano dei miglioramenti in aree chiave quali l'apprendimento, l'attenzione e la memoria, tutte funzioni che il morbo di alzheimer tende a deficitare fortemente. Di contro invece il gruppo che aveva ricevuto il placebo mostrava una diminuzione del metabolismo proprio in quelle aree del cervello che vengono colpite da questa patologia neurodegenerativa.

I polifenoli dell'uva hanno un effetto anti-Alzheimer

Per i ricercatori il merito di questo risultato sarebbe da ascrivere alla presenza dei polifenoli nell'uva. Già precedenti ricerche hanno messo in evidenza come questi composti presenti nell'uva possiedono importanti proprietà in quanto svolgono una attività anti-ossidante e anti-infiammatoria.

Pertanto i ricercatori ipotizzano che potrebbero portare benefici alle cellule del cervello attraverso un'azione combinata: ovvero sia riducendo lo stress ossidativo determinato dai radicali liberi e al contempo migliorando l'afflusso di sangue alle cellule cerebrali. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Experimental Gerontology.