I benefici attribuiti ad una dieta prettamente vegetariana continuano a trovare conferme dal mondo della ricerca scientifica. L'ultimo studio, in ordine di tempo, condotto dalla Icahn School of Medicine at Mount Sinai Hospital di New York, recentemente presentato all'American Heart Association's Scientific Sessions 2017 ad Anaheim, California, suggerisce che chi si nutre di una dieta pesco-vegetariana (comprendente quindi anche il pesce), presenta minori probabilità di sviluppare un'insufficienza cardiaca. Questa condizione non è normalmente curabile o comunque richiede un trattamento farmacologico a lungo termine, impianti di pacemaker, dispositivi di assistenza ventricolare o, nei casi più gravi, un trapianto di cuore.

È per questo che la prevenzione gioca un ruolo fondamentale, per cui i ricercatori lavorano costantemente per individuare i potenziali rischi e i modi per evitarli.

Cos'è l'insufficienza cardiaca?

L'insufficienza cardiaca è una condizione in cui il cuore diventa incapace di pompare sangue con sufficiente forza (riduzione del volume di eiezione ventricolare e della gittata cardiaca). A causa della diminuita contrattilità del muscolo cardiaco i tessuti periferici non possono ricevere più sufficiente ossigeno e nutrienti. Tra le numerose cause di insufficienza cardiaca abbiamo l'ipertensione, l'aterosclerosi, l'infarto del miocardio ed altre forme di cardiopatia ischemica, valvulopatia e cardiomiopatia.

L'insufficienza cardiaca colpisce con maggior probabilità gli over 65, rappresentando la più frequente causa di ospedalizzazione nella popolazione anziana. Dati recenti confermano in Italia un'incidenza pari allo 0,1-0,2% (87.000 nuovi casi all'anno) con una prevalenza dello 0,3-2% (circa 600.000 soggetti).

Lo studio su dieta e insufficienza cardiaca: i 5 modelli alimentari degli americani

Gli scienziati newyorkesi hanno analizzato i dati medici di 15.569 adulti statunitensi sia bianchi che di colore, di età superiore ai 45 anni. All'inizio dello studio tutti i partecipanti, reclutati tra il 2003 e il 2007 e seguiti fino al 2013, erano sani, privi di coronopatie o insufficienza cardiaca.

Studi precedenti avevano già sottolineato il ruolo della dieta sull'insorgenza dell'aterosclerosi, caratterizzata da un accumulo di grasso nelle arterie. Partendo da queste evidenze, la dottoressa Kyra Lara, principale autrice dello studio, e colleghi hanno provato a comprendere l'impatto della dieta sulla probabilità di sviluppare un'insufficienza cardiaca in individui sani, senza una precedente storia clinica di malattie cardiache. I pazienti hanno comunicato le loro preferenze alimentari compilando dei questionari. In base ai dati ottenuti, sono stati poi suddivisi in 5 gruppi:

  • convenienza: dieta composta principalmente da carni rosse, pasta, patate fritte e cibi da fast food;
  • vegetale: comprendente verdure a foglie verdi, nonché cereali integrali, frutta, legumi e pesce;
  • dolci: dieta a base di pane, cioccolato, caramelle, dolci e alimenti per la colazione;
  • sud: dieta costituita prevalentemente da uova, alimenti fritti, carni di organi, carni trasformate e bevande ricche di zucchero;
  • alcol / insalate: comprendente le salse per insalata, ortaggi vari, verdure a foglia verde, pomodori, burro, vino e liquori.

Come è facile intuire, gran parte di queste "diete" sono ben lontane da un modello alimentare sano e corretto e riflettono molto da vicino le pessime abitudini alimentari dell'americano medio.

Durante i 2.892 giorni di follow-up, sono stati registrati 300 casi di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca. In base a dati statistici (con tutti i limiti che presentano questo tipo di studi) i ricercatori hanno scoperto che solo chi seguiva una dieta prevalentemente vegetale aveva una minore probabilità di sviluppare l'insufficienza cardiaca nel tempo. Gli altri quattro modelli dietetici non sono stati associati né con un aumento o né con una diminuzione del rischio di sviluppare la condizione medica. Ciò significa che l'incidenza è rimasta nella media nazionale, che negli USA è in continua ascesa e prevede entro il 2030, salvo cambi drastici nelle abitudini alimentari e nello stile di vita, il raggiungimento di ben il 46% della popolazione colpita.