Andy Murray sta attraversando un periodo di forma strepitoso, iniziato con la vittoria sulla terra rossa agli Internazionali d'Italia di Roma, che lo ha portato, fra gli altri, a conquistare il suo secondo Wimbledon e il secondo oro olimpico. C'è stata, è vero, qualche battuta d'arresto (su tutte la bruciante sconfitta ai quarti a Flashing Meadows contro Nishikori al quinto set, dove lo scozzese arrivava con una serie di 26 partite vinte sulle ultime 27 disputate), ma, al di là dei numeri e delle statistiche, il livello di gioco espresso ha raggiunto picchi prodigiosi, tanto dal punto di vista meramente tecnico (il suo rovescio per lunghi frangenti non presenta margini di miglioramento), quanto per l'acume tattico e la solidità mentale.

Dichiarazioni fiduciose, ma realistiche

Il ventinovenne tennista di Dunblane è uscito allo scoperto dopo essersi coronato per la terza volta campione al Shangai Masters (torneo del circuito ATP World Tour Masters 1000), poco più di due settimane orsono, quando ha spazzato via in due set le velleità di Roberto Bautista Agut, ultimo guerreromarchiato Spagna capace di entrare nella top 20 (per la prima volta nel 2014, finora unico a riuscirci fra i tennisti iberici più giovani del grande Rafa Nadal); in quell'occasione aveva dichiarato in sala stampa che, seppur raggiungibile, l'obiettivo andava realisticamente spostato al 2017 e che in questo rush finale dell'anno, avrebbe dovuto cercare di ridurre il gap il più possibile (in altre parole, far sentire il fiato sul collo a Nole).

In sostanza si è ripetuto dopo il successo di domenica scorsa a Vienna (ATP 250), ottenuto ai danni del francese Jo-Wilfried Tsonga, quando ha ribadito che le maggiori chance le avrà il prossimo anno, giacché nei tornei di Indian Wells e Miami avrà verosimilmente concrete opportunità di ottenere punti, viste le opache prestazioni di quest'anno (in California è uscito a sorpresa nei sedicesimi per mano dell'argentino Federico Delbonis, mentre in Florida, sempre nei sedicesimi, è stato il bulgaro Grigor Dimitrov a procurarsene lo scalpo).

La speranza si chiamava Wawrinka

Per accaparrarsi fin da subito lo scettro, lo scozzese (che poco fa ha domato in un'ora e 13 minuti l'astro nascente del Tennis transalpino Lucas Pouille, allungando a 17 le partite vinte consecutivamente) dovrebbe vincere il torneo in corso a Parigi-Bercy, il BNP Paribas Masters (ultimo 1000 della stagione) e Djokovic dovrebbe fermarsi prima dell'atto finale, oppure arrivare in finale e il serbo non superare i quarti.

Insomma, troppi condizionali! Inoltre, le probabilità che queste combinazioni giochino a favore di Murray sono ulteriormente diminuite ieri, quando Stan Wawrinka (uno dei pochi tennisti in circolazione capace di mettere sempre in difficoltà l'attuale numero uno al mondo) ha confermato il suo periodo no ed è uscito mestamente di scena per mano del non irresistibile Jan-Lennard Struff (numero 91 ATP), liberando di fatto la sua parte di tabellone da potenziali pericoli. Sulla stada del ventinovenne di Belgrado figurano ora Cilic (precedenti 14/0 a favore di Djokovic) e nell'eventuale semifinale il vincente del derby a stelle e strisce fra Sock e Isner.

Se è vero che nel tennis non si può dare nulla per scontato, è altrettanto plausibile pensare (e sperare, perché no) che i due contendenti si sfideranno domenica in finale, lasciando per un istante da parte i punti atp, ma 'dandosele di santa ragione' sul rettangolo di gioco, per stabilire, ora più che mai, chi sia il migliore.