Giovani che amano la vita, ma sfidano continuamente la morte. Era una vecchia definizione dei piloti di Formula Uno, ai tempi in cui era frequente perdere la vita in pista. Ai giorni nostri, sebbene la massima kermesse automobilistica mondiale abbia perso parecchio del suo antico fascino, sebbene i duelli da cardiopalma siano sempre più rari, le note liete riguardano gli altissimi standard di sicurezza. Le percentuali in tal senso parlano chiaro: su 44 piloti morti mentre erano alla guida di una monoposto di F1, soltanto uno è deceduto negli anni '10 del XXI secolo (il francese Jules Bianchi, GP del Giappone 2014) ed un incidente letale non accadeva da oltre vent'anni.
Il mese di maggio è un periodo in cui, purtroppo, ricorrono parecchi tristi anniversari: i primi nomi che vengono in mente sono, naturalmente, quelli di Ayrton Senna e Gilles Villeneuve. In realtà si tratta soltanto dei nomi più celebri, l'elenco del 'maggio nero' della F1 è piuttosto lungo.
Senna e Villeneuve, sempre nel cuore dei tifosi
Il tre volte campione del mondo Ayrton Senna ci ha lasciati l'1 maggio del 1994. Letale la curva del Tamburello di Imola, fatali i problemi meccanici a bordo della sua Williams e quel piantone dello sterzo che era stato precedentemente modificato e saldato manualmente, la cui rottura rese la monposto inguidabile. Fu uno dei peggiori week-end di sempre della F1, il giorno prima durante le prove era morto il pilota austriaco Roland Ratzemberger.
La scomparsa del campione brasiliano avrà una coda giudiziaria: il direttore tecnico della scuderia, Patrick Head, sarà accusato di omicidio colposo a causa delle pessime modifiche apportate alla vettura. Non sarà mai condannato ed il reato andrà prescritto. Tanto il patron Frank Williams quanto il progettista della monoposto, Adrian Newey, saranno assolti in tutti i gradi di giudizio, ma il processo non ha mai chiarito alcuni 'punti oscuri' della vicenda, come la sparizione delle centraline elettroniche dell'auto di Senna e la cancellazione degli ultimi fotogrammi del suo camera-car.
Dodici anni prima, l'8 maggio del 1982, durante le prove del GP del Belgio a Zolder, era morto il ferrarista Gilles Villenuve. Nessun mistero, in questo caso, sulle cause dell'incidente: il pilota canadese era celebre e celebrato per il suo stile estremo. Il tentativo di recuperare posizioni nelle qualifiche gli fu fatale, Villeneuve non sopravvisse all'ultimo azzardo della sua carriera, anche se c'è da dire che la tensione in scuderia era altissima a causa della lotta intestina tra lui ed il compagno Didier Pironi.
Storie, tra le tante, che alimentano la leggenda di Gilles: con lui è probabilmente morta definitivamente la F1 epica. Tanto lui quanto Senna non saranno mai dimenticati, lo sport più veloce del mondo è tutt'ora a caccia dei loro eredi che, probabilmente, non prenderanno mai il loro posto nel cuore dei tifosi.
Bandini, la tragedia di Montecarlo
In totale sono sette i piloti della Ferrari morti in pista nella storia della F1. Tra questi, oltre Villeneuve, un'altra vittima del 'maggio nero' fu Lorenzo Bandini, deceduto il 10 maggio 1967 dopo il terribile incidente accaduto sul circuito di Montecarlo. Per il pilota emiliano nato in Libia fu fatale l'82° giro, la sua monoposto giunse alla chicane del porto ad una velocità incredibile, la vettura colpì una bitta di ormeggio delle navi che era celata da un cartellone pubblicitario, si staccò dall'asfalto e riccadde capovolta.
Un istante dopo venne avvolta dalle fiamme. Nella circostanza ci fu un tragico errore di valutazione da parte dei vigili del fuoco, secondo i quali Bandini era stato sbalzato fuori dall'auto ed era finito in mare come Alberto Ascari nell'incidente del 1955. Solo dopo aver spento l'incendio e sollevato la Ferrari, ci si rese conto che il pilota era ancora nell'abitacolo. Sarà trasportato in ospedale, dove morirà tre giorni dopo a causa delle ferite e delle gravissime ustioni.
Elio De Angelis, l'ultima vittima italiana
Sette è anche il numero dei piloti italiani la cui vita è finita in pista da quando è stato istituito il Mondiale di F1. L'ultimo della serie è Elio De Angelis, talento puro e grande cuore, 108 Gran Premi disputati tra il 1979 ed il 1986, un bilancio di 2 vittorie e 10 podi ed un terzo posto assoluto nel campionato del 1984.
Un unico, grande rimpianto, quello di non aver guidato una macchina realmente competitiva, opportunità che avrebbe certamente meritato. Arrivò alla Lotus nel 1980 quando la storica scuderia britannica aveva già imboccato la parabola discedente, passò alla Brabham nel 1986 e la sua vettura non era nemmeno lontana parente di quella che Nelson Piquet aveva condotto per due volte al titolo iridato. Elio morirà il 15 maggio 1986 a causa di un incidente sul circuito francese di Le Castellet. Il distacco dell'alettone fece perdere stabilità al retrotreno dell'auto che cappotterà ripetutamente, prima di schiantarsi contro una barriera e prendere fuoco. Inutili i tentativi di numerosi colleghi, tra cui Alain Prost, di estrarlo dall'abitacolo.
Sarà poi soccorso e trasportato all'ospedale di Marsiglia dove morirà il giorno dopo. Il 'maggio nero', pertanto, non ha risparmiato nemmeno le prove che si sono svolte al di fuori del calendario mondiale: era maggio anche ventisei anni prima, il 13 maggio 1960, quando un incidente durante le qualifiche del 'British Racing Driver Club International Trophy' costò la vita al pilota statunitense della Cooper, Harry Schell.
La triste fama di Indianapolis
I piloti di F1 deceduti in pista nel mese di maggio, dal 1953 al 1994, sono in totale 12. Ad onor del vero, però, c'è una gara su tutte che ha contribuito al 'maggio nero' ed è tra le più affascinanti, leggendarie ma, nel contempo, tra le più pericolose di sempre.
Negli anni '50, infatti, la 500 miglia di Indianapolis era inserita nel calendario del Campionato mondiale di F1 e si correva sul classico ovale. Furono 8 le vittime di Indianapolis, ad iniziare dall'esperto Chet Miller deceduto a seguito di un incidente nelle qualifiche della 500 miglia edizione 1953, esattamente il 15 maggio, alla guida di una Kurtis Kraft. La gara, disputata due settimane dopo, venne funestata da un altro lutto: Carl Eugene Scarborough, compagno di scuderia di Miller, morì infatti al termine della prova a causa di un'ipertemia. Nel suo caso non si può comunque parlare di una morte in pista. Due anni dopo fu la volta di Manny Ayulo, il 16 maggio del 1955, seguito quattordici giorni più tardi da Bill Vukovich che era reduce da due successi di fila nello storico ovale.
Nelle qualifiche del 1957, il 15 maggio, perse la vita Keith Andrews mentre nella gara dell'anno successivo, disputata il 30 maggio, toccò a Pat O'Connor. Gli ultimi due piloti morti ad Indianapolis in un Mondiale di F1 furono Jerry Unser e Bob Cortner, rispettivamente il 17 ed il 19 maggio 1959. Tutte le vittime erano di nazionalità statunitense.