Oggi cari lettori abbiamo qui con noi il giovane Simone Rosi, scrittore emiliano e autore del libro 'Discorsi sul Basket. Filosofia e arte del gioco'. In ESCLUSIVA ha gentilmente risposto alle nostre domande.
Ciao Simone, per prima cosa dacci una tua personale e approfondita analisi su questo tuo volume…
‘Discorsi sul Basket. Filosofia e arte del gioco’ è un libro in cui si prova a delineare una rappresentazione originale, o almeno diversa, di questo sport. Ho tentato di destrutturare vari aspetti di questo fenomeno e dargli nuova forma attraverso l’astrazione di numerose teorie filosofiche e riferimenti ad altre discipline.
In poche parole, ho assunto una prospettiva particolare: non ho analizzato il basket parlando di basket, ma assumendo come ideale filtro ottico altre materie. Andando in ordine, si parte con una ‘apologia del basket’. Apologia significa difesa ed esaltazione di qualcosa. Ecco, ho cercato di difendere il basket dalle prospettive banalizzanti che sempre più imperano, enucleando i principi massimi di questo gioco per evidenziarli, riportarli alla luce. Si parte da un elogio della complessità, in cui si evidenzia la difficoltà concettuale e pratica della pallacanestro, per poi passare ad un elogio della meritocrazia, in cui si delineano gli aspetti che rendono questo gioco meritocratico, per giungere poi all’osservazione dell’importanza che questo sport ha avuto nel processo di emancipazione del popolo afroamericano, nel capitolo chiamato rivalsa di una cultura.
Nella seconda parte ho provato ad interpretare il basket con la filosofia, la scienza, l’antropologia filosofica e il modello teatrale tragico greco. Per far qualche esempio: si studiano i processi fisiologici di una squadra applicando varie teorie di filosofia politica, si esamina quale è il tempo psicologico di una partita, si indaga quale è il ‘bello’ del basket, si classificano estinzioni e mutamenti, valore del singolo nel collettivo e si applica e si sovrappongono il modello e i valori della tragedia alla classica partita.
Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
Difficile dire cosa mi ha spinto a scrivere questo libro, più fattori probabilmente. Ammetto che alle origini è stato, almeno nelle sue prime pagine, il risultato di un esperimento, mosso da ingenua curiosità. Poi questo progetto ha preso forma e soprattutto consapevolezza, acquistando nuovi fini.
Ho scritto questo libro come una provocazione, uno stimolo che conduca a riflettere su uno sport che troppo spesso è trascurato o, peggio, banalizzato. Di questo fenomeno ci viene mostrata un’immagine limitata e limitante, che lo descrive come uno sport volto unicamente alla spettacolarità, all’atletismo e all’individualismo. Non si può ridurre il basket a questo e nel libro cerco di spiegare il perché.
Uno dei punti che abbiamo trovato più interessanti dell’intero libro è quando parli dello storico e filosofo greco Polibio: come mai associ perle ed analisi profonde al rettangolo di gioco?
Nel paragrafo dedicato al pensiero di Polibio, astraendo le sue idee riguardo i processi vitali e fisiologici di uno stato e le sue classificazioni riguardo i tipi di governo ‘positivo’ e ‘degenerato’, ho provato a descrivere le varie fasi che caratterizzano l’esistenza di una squadra e le sue differenti forme, sia ‘positive’ che ‘negative’ (degenerate).
Ho scelto la filosofia per analizzare il basket, per mostrare che si può parlare di questo sport anche in maniera differente rispetto a quella che quotidianamente ci viene mostrata. La filosofia, come anche le altre materie che si trovano nel libro, abbracciano il fine di indagare la realtà, scomporla e generalizzarla. Allo stesso modo ho provato a parlare dell’essenza di questo gioco, slegandomi da individualità e periodi storici, usufruendo di quelle discipline che si pongono proprio questo scopo. D’altronde per scavare nello strato epidermico della superficialità e scendere nel profondo, non si possono usare analisi semplicistiche.
Simone Rosi ci parla del suo libro
Chi sono per te i ‘Maradona e Pelè’ del gioco del basket?
E nello sport odierno, chi è per te l’interprete migliore di questo sport?
Premetto che non amo costruire classifiche e gerarchie di valore tra i giocatori. Nonostante ciò cito due giocatori che hanno fatto la storia, almeno per me. Il primo, mosso forse da un patriottismo europeo, è Dirk Nowitzki, precursore del modello di ala forte che siamo abituati ad osservare oggi, e, soprattutto, titanico e commovente nelle finali del 2011. L’altro è Tracy Mcgrady, talento cristallino, affascinante perché, causa prematuri infortuni, non è mai riuscito a esprimere il suo apparente infinito potenziale. E il mistero di che giocatore sarebbe diventato, come ogni cosa astratta, attrae. Non ho citato Jordan o i soliti nomi del passato perché, purtroppo, non essendo loro contemporaneo, non li ho mai seguiti attentamente.
Per la contemporaneità, senza indugi, nomino LeBron James, giocatore che miscela versatilità, intelligenza, fisicità, agilità e talento come nessun altro nella storia.
Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi prossimi progetti lavorativi?
I progetti per il futuro ci sono, ma vagano nella mente e sono appunti sparsi su foglietti di carta, astratti e inconsistenti. Come ogni cosa che riguarda una passione, sono iniziati come gioco, un esperimento ingenuo. Vedremo se assumeranno anche loro forma e consapevolezza. Posso dire che un lavoro è orientato verso l’antropologia culturale e riguarda sempre il basket, mentre un altro, più complesso, si inserisce nella storia, nel mito e nell’umanità che invoca eroi come modelli.